mercoledì 19 maggio 2010

Cuori d'altopiano - Alberto Gherardi


Le considerazioni che seguono le ho scritte ormai tempo fa, ma desidero iniziare questo blog parlando del libro di un amico.

Le valli e i luoghi bergamaschi, per me nato e cresciuto a Roma, e di Roma intriso, non si distinguono poi molto dai paesaggi lunari: rappresentano l'alieno. E per questo ero curioso: perché se lo scrittore è un narratore abile, quella alienità sa rapportarla alla comune umanità, offrendomi la chiave per osservare il suo mondo e comprenderlo. E infatti. Le valli si affacciano non solo - e non tanto - attraverso sé stesse, le descrizioni dei propri paesaggi, sentieri, montagne, scorci, tramonti; sono più i personaggi, i loro silenzi e la scontrosità di quasi tutti, anche quelli più caldi, quelli più solari. E' questa diffusa sobrietà, rudezza, a suggerire con discrezione senza l'invadenza dell'eccesso. Insomma, obliquamente, sei pienamente riuscito a presentarmi le tue valli. E a lasciar trasparire una spigolosità tutt'altro che priva di rientranze dove la sensibilità fa breccia.

Parole che si perdono (ascoltando: Rachmaninoff: Liturgia di San Giovanni Crisostomo, per coro; op.31 - prima parte)
Sin dal titolo c'è un avvertimento: le parole sono le protagoniste del racconto. Che in un'opera narrativa appare e pare banale; ma non è così: qui le parole sono ben più importanti dei personaggi, che pur nella loro relativa prevedibilità e schematicità hanno un buon vigore, una buona aderenza alla realtà; ma soprattutto la raggiungono via via, mostrandosi e scoprendosi per strada agli occhi del lettore. Parole che in realtà si ritrovano, più che perdersi; parole che costruiscono, non a caso, una storia che parte in sordina, personaggi che di frase in frase - di parola in parola - assumono una loro corporeità, per quanto più allusiva che materiale, che si lascia dietro l'impressione iniziale di scolasticità da manuale. Parole all'inizio stipate, che di aggettivo in aggettivo acquistano scioltezza e confidenza con la storia; all'inizio mostrano una solitudine umana che quegli aggettivi riempiono in eccesso, cui danno un senso di prevedibilità attraverso il compiacimento per il vocabolo ricercato, per il termine che colpisca programmaticamente la fantasia del lettore: la noia esistenziale, il disagio psicologico, il senso di vuoto familiare hanno sapore accademico. Ma è solo il principio: il racconto si distende, muta, sfrutta lo spunto di altre parole - i versi ingenui di una poesia adolescenziale - per assumere una nuova veste. Le parole si coagulano, ora: il loro permanente fiorire si addensa sull'amore e sulla vita. Alla fine, è un racconto di amore e di vita; di amore per la vita: e i personaggi si ritrovano strumenti di queste parole. Spoglio di quel compiacimento ricercato che dapprima aveva, approda a una secchezza di sentimenti e impressioni che non rinuncia alle emozioni. Perché l'abbraccio finale riesce a emozionare, in senso compiuto e non corrivamente consolatorio o romantico; e riaccende senza cedimenti alla facilità quella speranza che appariva - banalmente - assente nelle prime pagine. Speranza appunto non facile: speranza che vuol dire lotta: voglia di dare battaglia, a costo di restare feriti. E' il racconto più semplice, ma ha una compiuta dignità.

Nuvole senza cielo (ascoltando: Rachmaninoff: Liturgia di San Giovanni Crisostomo, per coro; op.31 - prima parte)
Amore, vita, speranza non facile a dispetto delle premesse: di nuovo; lo scenario, questa volta decisamente più valligiano, replica in prospettiva storica quello urbano e moderno. E' dalle sofferenze che nasce questa speranza venata di tanta asprezza, di una scabrosità che necessita di una volontà di ferro per essere raggiunta. Il romanticismo della storia concede nullo spazio alle romanticherie, concentrandosi sul bozzetto di due ragazzi che si incontrano e vengono sballottati dagli avvenimenti, storici e contingenti: epocali quelli, più spiccioli ma ugualmente decisivi - e cattivi - questi ultimi. L'adolescenza non è mai una passeggiata, ma alle volte esagera! E quando esagera, o spezza o tempra. Cosa e come prevalga dipende da tali e tante variabili che necessiterebbero di un Guerra e Pace per essere analizzate con agio. Ricaviamo e ci ricostruiamo i caratteri chiusi, umili, induriti e spietati (per sé stessi e per la loro vita) dei due giovani protagonisti dalle loro azioni; dal loro decidere, col cinismo di chi è cresciuto in fretta, in base alle circostanze avare che vivono. Ma proprio dalla loro chiusura, umiltà, durezza acquisita e spietatezza nascono - ci pare - quella volontà e quella pazienza che permettono il precipitare finale della speranza. Una speranza, nuovamente, che ha ben poco di romantico e ancor meno di consolatorio; e tutto invece di una solidità che ha origine dalla robustezza di ciò che è semplice e al tempo stesso radicato in una formidabile identità personale. Il granito è semplice pietra, ma per resistere al colpo di una mazza di ferro è più attrezzato di un elaborato e prezioso vetro di Murano. La vita, pare che tu dica, è così semplice una volta che si abbia la forza e la pazienza di lasciare che essa venga a capo di tutte le sue difficoltà, asprezze, rovesci. Averne la forza, però! E ancor più la pazienza.

Stella di Selvino (ascoltando: Bach: Oratorio di Natale op.BWV 248)
Variazione sul tema, digressione, scherzo tra il beffardo e l'agrodolce. Un piccolo bastardello (forse si capisce troppo da subito, la perfezione puzza sempre: ma è un difetto veniale; lui però resta antipatico da morire ;-)) anticipato e punito, ma che sa non prendersela, e in tal modo riscatta un po' il suo irritante atteggiarsi. Un'altra adolescente (all'ombra delle fanciulle in fiore, eh?), ma quanto più sbocciata in gloria, luminosa e raggiante; lontana da problematicità (ma di problemi agli altri una Sara dovrebbe essere bravina a darne, in compenso ;-)). Una storia, anche, di montagna, questa volta: genuinamente di montagna. Compresa la diffidenza istintiva per l'estraneo, l'urbanizzato; e compreso il rovesciamento dei ruoli che si vorrebbero prefissati, con lo smagato cittadino che in realtà resta con un palmo di naso; e usato. Non per caso è anche il racconto che, pur sbozzati appena, presenta più personaggi, con poche pennellate decise, anche, portati in buon rilievo. L'emergere dell'ambiente e dei luoghi richiede personaggi costruiti con nettezza, precisione, e concisione; le sfumature devono cedere il passo a contorni più esatti: le parole perdono definitivamente di importanza per sé e ne acquistano per essi, servizievoli fornendo corpo agli abitanti dei luoghi e ai luoghi stessi. E' una storia di quarzi, indubbiamente: cristalli duri, come i luoghi e i loro abitanti. Ma anche iridescenti, come il risvegliarsi alla vita di una ragazzina impertinente e, si suppone, ben presto impenitente. E' una storia dove la natura è sul punto di prendere il sopravvento, e dove alla fine vien fuori come una protagonista muta ma ben presente, che osserva i personaggi e si lascia osservare dal lettore.

Il rovescio delle cose (ascoltando: Bach: Oratorio di Natale op.BWV 248)
Okay, qui mi prendi sui sentimenti. Vent'anni fa avrei riconosciuto solo due tizi come più competenti di me in materia di tennis: Clerici e Tommasi; poi il tennis dei racchettoni, dei supermuscolari e di strane tv a pagamento mi hanno disamorato: rivoglio anche io la Jack Kramer Pro Staff. Ma il tennis mi è rimasto nel cervello. E il racconto me l'ha riportato in circolo; è ovvio che non è SUL tennis, ma è tuttavia CON il tennis, e i meccanismi della partita con Robbiati sono quei meccanismi che mi hanno fatto amare il tennis. Mi sembri abbastanza ferrato sulla memoria, quindi penso che tu capisca quello che puoi avermi rimesso in circolo come dicevo :-). Qui il lavoro si sposta ancora di più sui personaggi; o meglio sul personaggio, perché tutte le risorse si addensano sul nostro tennista di ritorno. Un ritratto che stavolta non è netto, ma neppure sfumato: è frastagliato. Contorto. Aggrovigliato. Mica è uno facile Daniel il tennista di ritorno. Non si fa grandi sconti, ma certo si fa parecchi problemi. Eppure non c'è nulla, in lui, dell'intellettuale pippaiolo. Il fatto è che intellettuale lo è; senza aggiunte. Nel senso di chi non abdica al proprio intelletto, di chi non sceglie mai la via più agevole, soprattutto per arrivare a guardarsi dentro e a soddisfarsi; ma, almeno alla lunga, non fa di questo un ripiegarsi sterile sulle proprie lamentazioni. Ci vuole tempo perché l'intelligenza arrivi a elaborare il senso profondo e consapevole della speranza, ma ci arriva immancabilmente: e senza non ci si arriva. E ci vogliono anni e una certa età per arrivarci. Scolorire di cicatrici, e comprensione di cosa le abbia provocate. La volontà di rischiare di procurarsene di nuove. La speranza, insomma, ancora una volta. Ma, mi ripeto, senza atteggiamenti consolatorii: va strappata all'esistenza, non cresce sugli alberi, non si ottiene per tocco di bacchetta magica. Con Daniel, per uscire dalla sfera dell'allusivo e arrivare a conoscerlo appieno aspetto il romanzo. E poi Robbiati: perché è bello il pensiero di quell'acqua gelata che sferza a tradimento quello stronzo. E gli altri personaggi a corona. Sinceramente, uno come Mat mi sta istintivamente sull'anima; ma poi mi sovviene che un amico Mat-to ce l'ho anche io; matto in modo diverso, ma sempre matto; e forse tutti - tutti noi che speriamo di essere sani di mente - un amico matto ce lo abbiamo. Ce lo dobbiamo avere per mantenere il contatto con uno spirito più libero del nostro. E gli vogliamo bene perché alla fine sono molto più sani loro di noi. Resta Paola, enigmatica e informe rispetto agli altri personaggi. Ma è giusto: stavolta è una storia di uomini, e anche le donne importanti non sono che accessori.

Vecchio al monte (ascoltando: Vivaldi: L'Estro Armonico op.3)
Il racconto più bello. Non per semplice apprezzamento estetico, o per sensazioni o impressioni; né per una simpatia che possa ispirare il protagonista, anzi. Intanto perché Cesco è il personaggio più riuscito che presenti; quello meglio elaborato e strutturato, analizzato con una precisione che va oltre i suggerimenti che dissemini sulla sua personalità: per l'aderenza completa dell'uomo al suo ambiente; e per quelle valli e montagne che qui vengono in rilievo materiale come non prima: attraverso gli occhi, la memoria e il pensiero del loro osservatore. Evocate negli altri racconti, qui ci sono, si materializzano nel loro splendore: un po' come esserci sopra e dentro dopo averle ammirate in lontananza. Soprattutto, però, in questo racconto c'è quella qualità della buona letteratura che riesce a farti scindere la lettura con la testa da quella con il cuore, per poi amalgamarle. Cesco non è esattamente il modello di essere umano che ami alla follia :-). Questo al di là del fatto che io concordi pienamente con le considerazioni introduttive che fai al racconto; non parlo di Cesco come modello di vecchio, e tanto meno dell'importanza cardinale, che stiamo perdendo, della vecchiezza: non avrei sopportato neppure il Cesco ventenne. Ma il racconto ha saputo scavalcare la ripulsa istintiva di cuore; ha saputo (ri)mettere in moto il cervello: fino a farlo innamorare della storia e del personaggio. E attraverso il personaggio forse anche dell'uomo. Se Cesco ha un modello reale, forse me lo avrebbe fatto quanto meno digerire. Attraverso quali meccanismi la mia lettura istintiva abbia ceduto il passo è presto detto: sotto la scorza e dietro la maschera di Cesco ci sono un'intelligenza intensa e un'umanità calorosa, che in questo caso solo la descrizione letteraria può raggiungere e disseppellire e riportare alla luce: nella vita reale e quotidiana sarebbe molto più difficile, e anche improbabile. E c'è un'ironia, nel vecchio, che appartiene agli animi elevati. La semplicità è apparenza ingannevole, spesso; e solo in questo senso si potrebbe definire semplice il vecchio Cesco. E, certo, se abbraccerei con emozione il vecchio scalatore del racconto, è più probabile che vorrei sbattere la testa al muro a un Cesco reale. Questo fa, un buon racconto: fa riflettere. Ci fa elaborare i nostri sentimenti, sviscerare gli schemi di pensiero, rapportare la sua finzione narrativa con la nostra vita. E infine ci diverte.

Nessun commento:

Posta un commento