tag:blogger.com,1999:blog-72631718449108921142024-03-13T15:08:03.241-07:00Fatti non foste a viver come brutiVincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.comBlogger11125tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-12783336862265495462011-03-17T05:02:00.000-07:002011-03-17T05:02:42.836-07:00Sull’amore sulla morte – di Patrick Süskind<!--[if gte mso 9]><xml> <w:WordDocument> <w:View>Normal</w:View> <w:Zoom>0</w:Zoom> <w:HyphenationZone>14</w:HyphenationZone> <w:PunctuationKerning/> <w:ValidateAgainstSchemas/> <w:SaveIfXMLInvalid>false</w:SaveIfXMLInvalid> <w:IgnoreMixedContent>false</w:IgnoreMixedContent> <w:AlwaysShowPlaceholderText>false</w:AlwaysShowPlaceholderText> <w:Compatibility> <w:BreakWrappedTables/> <w:SnapToGridInCell/> <w:WrapTextWithPunct/> <w:UseAsianBreakRules/> <w:DontGrowAutofit/> </w:Compatibility> <w:BrowserLevel>MicrosoftInternetExplorer4</w:BrowserLevel> </w:WordDocument> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 9]><xml> <w:LatentStyles DefLockedState="false" LatentStyleCount="156"> </w:LatentStyles> </xml><![endif]--><!--[if gte mso 10]> <style>
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</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Capita così di passare distrattamente per mesi o per anni, in libreria, con lo sguardo sopra un titolo e poi ieri di sceglierlo e subito leggerlo di slancio. Perché non ce n’è, con i libri si fa l’amore, altrimenti non si è lettori, ma solo utenti della lettura; ma allora lasciate perdere, trovate qualcosa d’altro da fare, il mondo è vasto, e se per voi un libro è soltanto un passatempo non avete capito un granché.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Gli argomenti trattati da Süskind in questo libretto sono e probabilmente saranno sempre quelli più ricorrenti nella letteratura, nell’arte e anche nella società: in quanto animali la nostra morte è inevitabile, così come la necessità imperiosa di trasmettere la nostra eredità ci spinge l’uno sull’altra; in quanto animali dotati della capacità di riflettere su noi stessi, è inevitabile che i due intrecciati poli della nostra animalità ci inducano a riflettere più di ogni altro. E a inventare, ricamare fantasie sovreccitate. Ecco, forse il limite di questa riflessione di Süskind come di quelle fantasie sovreccitate dei poeti, il limite della visione degli artisti, è di voler confinare l’amore (e la morte) in una dimensione artistica, dimentica della nostra dimensione di natura. Ma alla fine, è proprio questo a banalizzare la riflessione artistica sull’amore (e la morte), anche quando è artisticamente suprema. Perfettamente comprensibile in Goethe e ancor più in Kleist che scrivono duecento anni fa e che Süskind analizza, per altro con mirabile sintesi, ma non in Süskind stesso che scrive nel 2005 e ripropone, sebbene ancora con una maestria che lascia ammirati, riflessioni che potevano essere giustificate ancora nell’età romantica (e forse ancora oggi nelle fantasie più sovreccitate).</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Scrive Süskind nelle pagine iniziali del saggetto:</span></div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright";">Qualcosa di misterioso sembra connesso con l’amore, qualcosa che non si può conoscere con esattezza e si può spiegare solo parzialmente. Lo stesso si può dire anche con il big bang o quando ci si chiede come sarà il tempo fra due settimane. E tuttavia la teoria del big bang e le previsioni del tempo stimolano i poeti e il loro pubblico molto meno di tutto quello che ha a che fare con l’amore. Quindi nell’amore deve esserci qualcosa più del misterioso</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright";">.</span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">E più avanti, parlando di uno dei protagonisti del Convivio di Platone, il medico Erissimaco:</span></div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright";">Oggi uno come lui probabilmente definirebbe l’amore uno degli innumerevoli fenomeni determinati dagli enzimi, dagli ormoni o dagli amminoacidi. A noi sembra banale. Poco edificante. E inoltre spiega poco. Perché definire non significa certo generalizzare, bensì al contrario circoscrivere e delimitare dal generale</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright";">.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Infine:</span></div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright";">Dalla canzonetta al Fidelio e al Flauto Magico, dal romanzetto all’Anfitrione di Kleist, tutto ciò che è scritto e cantato in queste opere cerca di esprimere la convinzione che l’amore è qualcosa di sublime, di divino, di liberatore, e la terminologia usata per cantarlo e descriverlo è rimasta religiosa fino ai nostri giorni.</span></i></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Ecco. Sia chiaro: la poesia, l’arte hanno il diritto e forse il dovere di appellarsi al mistero, di sbrigliare la fantasia senza curarsi in alcun modo della nostra realtà di viventi; hanno il diritto di rifiutare la realtà per intessere il sogno di quella fantasia sovreccitata di individui che a tentoni provano a spiegarsi qualcosa che appare loro inspiegabile. E appunto sublime perché inspiegabile (e perché tanto stravolgente sui sensi). Come sublimi possono essere le opere che se ne traggono. Se a farlo sono Goethe o Kleist, quando invece ci toccano Baricco o Susanna Tamaro afferrare una roncola e nutrire propositi sanguinari è un impulso salutare ;-). </span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Ma Süskind nel 2005, nel proporre una riflessione, ha il diritto di proporcela – lui sì, in fondo - così banale, forse incompleta? Forse volutamente incompleta, perché cosa ci sia oltre il misterioso è individuato, ma l’autore lo tralascia con (sospetta) noncuranza. Che il poeta voli, e ci trasporti con lui lontano da noi stessi e dalla terra cui siamo ancorati va bene. E’ sano, perfino: se non ci facciamo travolgere, se guardiamo a Goethe e non a Kleist (di Kleist godiamoci l’arte e basta); se nel sollevarci dalle fatiche del quotidiano egli ci restituisce il potere che è anche nella nostra mente, quello di trovare in noi stessi la tensione artistica, ovvero la capacità culturale pienamente umana di trasmetterci le nostre emozioni. Che questo continui perché possiamo non dimenticarci mai quale strumento fine ci abbia consegnato la storia evolutiva della nostra specie. </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://lh5.googleusercontent.com/-Y4ODe1LTSRA/TYH4RcmCtMI/AAAAAAAABZM/WegG9RYtRMk/s1600/suskind.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://lh5.googleusercontent.com/-Y4ODe1LTSRA/TYH4RcmCtMI/AAAAAAAABZM/WegG9RYtRMk/s1600/suskind.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">E qui si innesta quanto scrive Süskind di Erissimaco. Davvero la posizione di Erissimaco oggi sarebbe banale? O quanto più potente, invece, è la consapevolezza che possiamo avere della nostra storia naturale? Che è parte integrante della storia della vita sul nostro pianeta. L’amore è un “miracolo” non perché è misterioso (anche se è molto più appagante che i poeti lo cantino come tale), ma perché è un meccanismo che ci proviene da un percorso di centinaia e centinaia di milioni di anni. Perché è inscritto nella nostra carne, ben prima e con ben maggior forza che nella nostra anima, che della nostra carne è il prodotto interamente – e solamente – animale. Perché nelle nostre vene sono quegli ormoni, quegli enzimi disprezzati a risvegliare la fantasia sovreccitata dei poeti. Perché nessun’altra cosa è in grado di scuoterci come animali umani quanto la potenza dell’urlo della genetica che ci ricorda il nostro posto in questa storia che ci giunge dai primordi della vita sulla terra e che attraverso di noi ci impone di venire proseguita nel futuro. Un urlo feroce e rabbioso, l’urlo che ci rammenta che siamo vivi e cosa sia davvero la (nostra) vita. E che moriremo una volta svolto il nostro compito. Con una bestia del genere dentro, tanto piena di vigore e violenta, il misterioso mi pare impallidire. Giungere alla consapevolezza non può essere mai banale, tanto meno quando è appunto così forte e violento, così terribilmente vivo ciò che ci chiede di essere pienamente compreso, interiorizzato in ogni nostra fibra. Al netto dei poeti, certo; ma voler banalizzare la nostra natura di animali autoconsapevoli mi pare, questo sì, una banalizzazione.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Ma forse anche Süskind, nonostante l’acutissima analisi in parallelo che compie nel finale del suo scritto delle figure messianiche di Orfeo e di Cristo, non riesce del tutto a sottrarsi alla cupissima tristezza semitica che il cristianesimo ha infiltrato nella cultura occidentale; non riesce a dimostrarsi compiutamente orfico, a dare forma artistica alla natura nella sua interezza, ad accettare e comprendere la natura umana per quel che è e non per quello che la fantasia sovreccitata, questa volta di perniciosi profeti e non di poeti, inventa senza alcuna consapevolezza reale, rifiutando il nostro retaggio.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Non ho parlato molto, nello specifico, del libro, ma non me ne sono allontanato. Seppure abbia le riserve sopra espresse, la lettura del volumino è davvero stimolante e appagante, innesca così tante suggestioni e riflessioni – e il libro è così ben scritto – da essere un’avventura da fare e rifare.</span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Con un libro si fa l’amore. Ogni giorno in modo nuovo e diverso.<span> </span><span> </span><span> </span><span> </span><span> </span></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-54367154018635629592010-08-22T07:08:00.000-07:002010-08-22T07:08:53.659-07:00La carità che uccide – di Dambisa Moyo<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><o:smarttagtype name="PersonName" namespaceuri="urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags"></o:smarttagtype><style>
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</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/THEueDg6UkI/AAAAAAAABUQ/5HcheHMuQBY/s1600/dambisa+moyo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/THEuXU8KV_I/AAAAAAAABUI/8PFuDZtWR50/s1600/la+carit%C3%A0+che+uccide.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/THEuXU8KV_I/AAAAAAAABUI/8PFuDZtWR50/s320/la+carit%C3%A0+che+uccide.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">La carità fa male, e quella eccessiva lo fa eccessivamente. Il tema è questo. E non è tanto il supporto di cifre, <i>report</i> e quant'altro a rendere il libro davvero assertivo: è la narrazione logica e piana di un ragionamento basato sull'osservazione di sessant'anni di politiche fallimentari che hanno inondato l'Africa di denaro creando una classe parassitaria (non solo africana, per altro, e l’autrice lo sottolinea) che sugli aiuti occidentali prospera rubandoli, drenando ulteriormente le risorse, moltiplicando le occasioni di conflitti che destabilizzano il continente. Divenuti voce stabile del bilancio delle nazioni africane gli aiuti, provenienti dai singoli stati occidentali o dalla <i>longa manus</i> del capitalismo occidentale rappresentata da FMI e Banca Mondiale, hanno naturalmente soffocato sul nascere la possibilità di favorire lo sviluppo di una classe di piccoli e medi imprenditori locali e di una classe media tout court. Dopo sessant'anni di aiuti, l'Africa è parecchio più povera di allora (e già allora era probabilmente più povera di quando si scatenò l'ondata colonialista nell'800). Sulle cause di questa persistenza in una politica fallimentare l’autrice è però reticente. Omette di rilevare come essa non sia soltanto utile alle corrotte classi dirigenti delle nazioni dell’Africa sub-sahariana e alla pletora di attori occidentali coinvolti a vario titolo nel <i>business</i> degli aiuti. Il flusso costante, poderoso e a oggi inarrestabile degli aiuti internazionali all’Africa è stato il pugno di ferro rivestito di morbido velluto con il quale le nazioni occidentali hanno continuato a esercitare la tutela e lo sfruttamento dell’epoca coloniale. Le nazioni asiatiche, che avevano già o avevano già avuto infrastrutture economiche e finanziarie funzionati sono riuscite o stanno riuscendo a liberarsi della tutela. <br />
</span></div><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/THEueDg6UkI/AAAAAAAABUQ/5HcheHMuQBY/s1600/dambisa+moyo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/THEueDg6UkI/AAAAAAAABUQ/5HcheHMuQBY/s320/dambisa+moyo.jpg" /></a></div><br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";"> <o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/THEvRVw3fPI/AAAAAAAABUY/Qd9NobRvcwY/s1600/dead+aid.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br />
</a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Se l'individuazione del problema resta cristallina al di là dell’omissione, ed esposta con accuratezza e spietatezza, qualche perplessità me la lascia il ventaglio di soluzioni proposte. La fiducia che la dottoressa Moyo ripone nei meccanismi (diversificati e molto acutamente selezionati per altro) di mercato che indica, è scontata e naturale in una ex consulente della World Bank ed ex funzionaria Goldman-Sachs, ma ugualmente essa è eccessiva. E' pur vero che ben difficilmente qualcosa potrebbe essere peggio della continuazione dell'attuale <i>status quo</i>, e che probabilmente una sorta di terapia intensiva è necessaria per salvare da morte certa il paziente comatoso. La stessa autrice appare in effetti consapevole che quanto propone non è il <i>santo graal</i>, ma la ormai vitale e non più rimandabile medicina per la sopravvivenza: non resta proprio più altro. Quando il moribondo sarà uscito dal coma, quando cioè la sua classe dirigente parassitaria sarà stata falcidiata, la corruzione limitata, posto in grado di funzionare il minimo di infrastrutture (sia produttive che sociali) necessarie allo sviluppo - quando tutto questo sarà avvenuto, allora si potrà e dovrà tornare a discutere. Dovranno farlo gli africani, cioè. <br />
</span></div><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/THEvRVw3fPI/AAAAAAAABUY/Qd9NobRvcwY/s1600/dead+aid.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/THEvRVw3fPI/AAAAAAAABUY/Qd9NobRvcwY/s320/dead+aid.jpg" /></a></div><br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";"><br />
<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";"><br />
<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Ah, su una cosa la dottoressa Moyo ha ASSOLUTAMENTE ragione: se in occidente continueremo a baloccarci con le cazzate, in pochi decenni <st1:personname productid="la Cina" w:st="on">la Cina</st1:personname>, con il suo approccio pragmatico all'economia africana e che sta pure funzionando molto meglio del nostro nel favorire lo sviluppo economico africano (approccio che seppure in ritardo l'India pare decisa a seguire) spazzerà via l'influenza occidentale in Africa. E l'Africa è un'arca di risorse... <br />
<br />
<o:p></o:p></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-809649527531412252010-07-09T11:02:00.000-07:002010-07-09T11:02:07.141-07:00NO BAVAGLIO! - No al DDL sulle intercettazioni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TDdkCGdZNYI/AAAAAAAABSg/ZTO7tesz6ak/s1600/quarto_stato-11.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="336" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TDdkCGdZNYI/AAAAAAAABSg/ZTO7tesz6ak/s640/quarto_stato-11.jpg" width="640" /></a></div><div style="text-align: center;"><b>Pellizza da Volpedo - Il Quarto Stato</b></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-35203047327302742852010-06-30T08:08:00.000-07:002010-06-30T08:08:24.053-07:00Bus readings I - per leggere in ogni momento<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtbgyFEOxI/AAAAAAAABQ4/Yv1ajTiRRRk/s1600/lettura+in+bus.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtbgyFEOxI/AAAAAAAABQ4/Yv1ajTiRRRk/s320/lettura+in+bus.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">La lettura è in primo luogo un amore, non ci piove. Amore per le storie, amore per le parole. Amore per i libri. Può essere anche tante altre cose naturalmente. Anche una fuga, certo. Fuga dalla realtà, ri-certo. E’ però una realtà specifica quella a cui penso. Quando in autobus (o in treno) cominciano a volare i “signora mia”, o siamo stati abbastanza previdenti da portare con noi un libro oppure è inevitabile cominciare a elaborare ingegnosi metodi di omicidio (o suicidio, dipende dalle inclinazioni personali). Siate preparati, insomma, abbiate con voi delle letture adatte alla bisogna. Intendo adatte non per gli argomenti, quelli ognuno se li sceglie, ma proprio adatte al luogo e alle condizioni di lettura. Quali che siano le nostre inclinazioni, diventa difficile portarsi da leggere in autobus <i>It </i>di <i>Stephen King</i> oppure Infinite Jest di David Foster Wallace: meglio lasciarli per il treno. Sull’autobus si può essere costretti a richiudere rapidamente il libro perché si è arrivati alla fermata senza accorgersene. E poi i tragitti – in genere – sono meno lunghi. Le dimensioni insomma non contano solo per Rocco Siffredi.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><style>
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</style> </div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Qui di seguito butto giù una prima listarella di <i>piccoli</i> consigli per la bisogna. E visto che parlavo di ingegnosità nell’elaborazione di metodi per sbarazzarsi dei molestatori, il modo migliore per iniziare è sicuramente con…<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtbt1SaCgI/AAAAAAAABRA/TmdTJSC9-1I/s1600/Esemplari.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtbt1SaCgI/AAAAAAAABRA/TmdTJSC9-1I/s200/Esemplari.jpg" width="142" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Delitti esemplari</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">. Di Max Aub. Aub è famoso soprattutto per il suo romanzo Jusep Torres Campalans, geniale “biografia fittizia” di un pittore mai esistito. Ma questo librino minimo non è meno geniale. I delitti immaginati e immaginari che popolano le sue scarse pagine sono narrati con una tale gioia liberatoria, con un’innocenza festosa e crudele da lasciare ammirati. In poche righe ogni volta Aub descrive un carattere, una persona, una storia umana con fulminea precisione. E la gioia… la gioia di dare a tutti ciò che si meritano! ;-)<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtbzxxQmjI/AAAAAAAABRI/pxzBouD9HAM/s1600/procuratore.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtbzxxQmjI/AAAAAAAABRI/pxzBouD9HAM/s200/procuratore.jpg" width="143" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il Procuratore della Giudea</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">. Di Anatole France. La storia è quella ma non è proprio quella. Un Pilato anziano discute con un suo amico, Lamia, esternando nel dialogo un forte risentimento antigiudaico. E Cristo? Vaghi ricordi. Al di là delle riflessioni di France sulla storia e il significato di questa e della riflessione storiografica, nonché sull’antisemitismo (antico come moderno), l’interesse per questa novella è soprattutto letterario. Scritta con eleganza e sobrietà che lasciano ammirati, consegna al lettore un ritratto umano tra i più affascinanti e riusciti.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtb6e6RdnI/AAAAAAAABRQ/7AMt3ddTn8k/s1600/mare+e+la+sua+sponda.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtb6e6RdnI/AAAAAAAABRQ/7AMt3ddTn8k/s200/mare+e+la+sua+sponda.jpg" width="120" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il mare e la sua sponda</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">. Di Elizabeth Bishop. In questo minuscolo libriccino ci sono due ancor più piccoli racconti di questa grande poetessa americana. E la visionarietà, il rigore stilistico, la scelta precisa e rigorosa delle immagini narrative e figurative sono senza dubbio quelle del linguaggio poetico. L’un racconto e l’altro, quello sulla spiaggia del mare e quello dell’uomo che freme per essere rinchiuso in prigione, parlano di libri, di storie. E di fantasia. Del grande potere che ha la nostra immaginazione creativa e creatrice.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtb_u0icQI/AAAAAAAABRY/iRVPvkWl2uc/s1600/giuria+sole+donne.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtb_u0icQI/AAAAAAAABRY/iRVPvkWl2uc/s200/giuria+sole+donne.jpg" width="133" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Una giuria di sole donne</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">. Di Susan Glaspell. Giallo puro, classico e canonico, anche. Gli elementi del giallo ci sono tutti – il delitto, l'investigazione, la psicologia del movente, lo scioglimento del caso. In più vi è molto altro: l'eterna dicotomia/antitesi legge/giustizia vi trova una rappresentazione esemplare e compiutamente esplicativa. E questa storia di donne che commettono e coprono delitti – nella beata ignoranza e insipienza degli uomini – spinge a interrogarsi sul senso della locuzione “giuria di propri pari”. Forse ha ragione proprio Susan Glaspell…<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcEQJOTLI/AAAAAAAABRg/eOxnEgS_D7U/s1600/capitalismo.big.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcEQJOTLI/AAAAAAAABRg/eOxnEgS_D7U/s200/capitalismo.big.jpg" width="133" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Capitalismo totale</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">. Di<b> </b>Jean Peyrelevade. Non di sola letteratura dovrebbe vivere il lettore sano. Questo breve libretto non è freschissimo visto che il suo autore l’ha scritto ormai nel 2005, ma sulla crisi economica in atto dice molto e meglio di tante analisi che ancora adesso si leggono. Jean Peyrelevade è stato presidente e amministratore delegato del Credit Lyonnais, dunque è stato uno dei grandi banchieri d'Europa. Non è insomma un <i>kommunista</i> arrabbiato, neppure in forma vaghissima (a meno che non siate dei sopravvissuti monetaristi di Chicago col cervello calcificato da troppi anni di finanza allegra e stronzate in salsa friedmaniana ;-)). E' per ciò, che questa mirabile sintesi della struttura economica planetaria che il capitalismo finanziario ha plasmato negli ultimi decenni è particolarmente illuminante e disperante.<o:p></o:p></span></div><br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcPzWSpMI/AAAAAAAABRo/TKaTuUGQ80M/s1600/max+aub.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcPzWSpMI/AAAAAAAABRo/TKaTuUGQ80M/s320/max+aub.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;"><i>Max Aub (1903-1972)</i></span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcT1hP_CI/AAAAAAAABRw/C8uGI9clFZs/s1600/anatole-france-1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcT1hP_CI/AAAAAAAABRw/C8uGI9clFZs/s320/anatole-france-1.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;"><i>Anatole France (1844-1924)</i></span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;"><i> </i></span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcXSFyQlI/AAAAAAAABR4/fOoEvc0vUPs/s1600/bishop.htm" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcXSFyQlI/AAAAAAAABR4/fOoEvc0vUPs/s320/bishop.htm" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;"><i> Elizabeth Bishop (1911-1979)</i></span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;"><i><br />
</i></span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcavD5-mI/AAAAAAAABSA/ZxQ8CcFjxrc/s1600/susan_glaspell.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcavD5-mI/AAAAAAAABSA/ZxQ8CcFjxrc/s320/susan_glaspell.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;"><i>Susan Glaspell (1876-1948)</i></span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;"><i><br />
</i></span></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcdIKnOPI/AAAAAAAABSI/BPqYsYN39rE/s1600/jean-peyrelevade.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCtcdIKnOPI/AAAAAAAABSI/BPqYsYN39rE/s320/jean-peyrelevade.jpeg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><span style="font-size: x-small;"><i>Jean Peyrelevade (n.1939)</i></span></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-2150784309085946832010-06-23T06:54:00.000-07:002010-06-23T06:54:38.387-07:00La particella mancante – di João Magueijo<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><o:smarttagtype name="PersonName" namespaceuri="urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags"></o:smarttagtype><style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIQq0kusmI/AAAAAAAABII/JCSVamrdAMI/s1600/particella.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIQq0kusmI/AAAAAAAABII/JCSVamrdAMI/s200/particella.jpg" width="139" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Quella di Majorana è una figura davvero affascinante nella storia della nostra cultura. Fu senza dubbio una delle menti scientifiche più brillanti dello scorso secolo, il solo paragone possibile credo sia quello con Albert Einstein; ma un carattere a dir poco peculiare e la precoce scomparsa lo relegherebbero nel patrimonio di conoscenze specifiche dei fisici se non fosse per le modalità di quella precoce scomparsa che ne hanno fatto quasi una <i>star</i> mediatica.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Leonardo Sciascia, suo conterraneo, dedicò al “Caso Majorana” un libro splendido, ampiamente e giustamente citato da Magueijo. Però il grande fisico fu molto più della sua enigmatica uscita di scena: che si sia suicidato buttandosi in mare o ritirato dal mondo rinchiudendosi in convento, oppure sia stato rapito da fantomatici emissari di una fantomatica potenza straniera, ciò che di lui è importante è un lavoro scientifico che, rimasto esiguo per le bizzarrie del suo carattere e la brevità della sua stagione, tuttavia continua a essere fonte di possibili sviluppi teorici e conoscenze pratiche a oltre sette decenni da quando di lui si sono perdute le tracce. E ciò che di lui è davvero affascinante ancora una volta non è la sua scomparsa: Ettore Majorana fu uomo e scienziato tormentato e complesso. <o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIQ00mVXgI/AAAAAAAABIQ/QNYrzbn4Iw8/s1600/magueijo+lunga.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIQ00mVXgI/AAAAAAAABIQ/QNYrzbn4Iw8/s320/magueijo+lunga.jpg" /></a></div><br />
<div style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;"><i>L'autore, il fisico e cosmologo João Magueijo</i></span></div><br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Follia è un termine che si usa spesso a sproposito, quando non si è in grado di interpretare la complessità che esula dagli schemi in ottemperanza ai quali i nostri pensieri e comportamenti vengono programmati (dai parenti, dalla scuola, dalle istituzioni; oggi, ahinoi, da una pletora di media aggressivi e superficiali). Majorana è a volte descritto come folle: perché è così difficile cogliere i motivi del suo disagio, della sua incapacità a rapportarsi a quegli schemi di comportamento e pensiero codificati – e follia è un termine così facile e comodo, perfetto per schemi di pensiero incapaci del minimo sforzo per capire <st1:personname productid="la complessit¢. L" w:st="on">la complessità. L</st1:personname>’ipotesi di un uomo completamente assorbito dai suoi studi e per questo lontano dal senso comune e perfino squilibrato è destituita di qualunque validità. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Resta difficile comprendere in profondità le cause e le ramificazioni di un comportamento che fu asociale: nel senso stretto di un’inabilità vera e propria a conformarsi alle convenzioni del suo ambiente e in genere della società, e del disagio conseguente che lo portò a isolarsi, socialmente ma anche intellettualmente. Né però la complessità di Majorana si esaurisce nelle sue ombre: come Magueijo caparbiamente e abilmente mette in luce egli era dotato di un umorismo ingegnoso e sottile (forse troppo sottile per chi lo circondava), e nella giusta compagnia e con i pochi scelti amici era tutt’altro che chiuso. L’uomo schivo, restio a pubblicare il suo lavoro aveva però un senso fortissimo della teatralità, amava stupire – anzi folgorare - gli altri con il suo intelletto. Il rapporto irrisolto con il sesso femminile (con il sesso in genere: non gli si conosce relazione qualsivoglia) non completa il ritratto, lo rende anzi ancora più nebuloso per l’impossibilità di determinare il suo peso finale nella personalità e nella vita di quest’uomo geniale. Majorana attraversò la temperie politica, ma soprattutto sociale, del fascismo, sbattendosene. Quel che si ricava è che fu acutamente consapevole degli aspetti ridicoli e grotteschi di un regime cialtrone e che cancellò i pochi buoni risultati ottenuti con il Risorgimento, ma non era minimamente interessato alla politica attiva. Può apparire strano nell’esponente di una famiglia, che seppure affermatasi di recente, nelle generazioni immediatamente precedenti a quella di Ettore aveva dato uomini politici di rilievo all’Italia: ma in questo il grande fisico mi pare coltivasse lo sdegno di certo patriziato siciliano, che se non è profondamente ammanicato, se ne sbatte appunto altamente. E ricercando ciò che contribuì a plasmare quest’uomo così sfaccettato e difficile, così sfuggente alle definizioni e alle indagini (non, banalmente, quelle sulla sua scomparsa) inevitabilmente si approda a una famiglia che nel suo complesso emerge come non meno caleidoscopica, difficoltosa da inquadrare, contraddittoria e irriducibile a semplicità del suo esponente più illustre. Un materiale – umano, intellettuale, culturale – che come si vede solo un narratore dal talento grande e particolarmente portato per il dettaglio fine e le architetture letterarie complesse avrebbe potuto immaginare. E che invece fu un uomo vivo e arduo da accostare e interpretare. Riportato amorevolmente in vita in questo libro, seppure nei limiti di un tale accidentato attingimento. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIRP6t1PsI/AAAAAAAABIY/x_Nsk2laoJg/s1600/majorana.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIRP6t1PsI/AAAAAAAABIY/x_Nsk2laoJg/s200/majorana.jpg" width="179" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Credo che per scrivere una buona biografia di un uomo di scienza ne serva un altro, per poter comprendere a fondo quell’aspetto così determinante che è la creatività scientifica nei suoi risvolti tecnici e psicologici; e a sua volta Magueijo è brillante uomo di scienza, capace di costruzioni intellettuali coraggiose e non conformistiche (il fisico portoghese è stato tra coloro che hanno sviluppato l’ipotesi della variabilità della velocità della luce, tra l’altro negli istanti iniziali dell’universo quando, secondo tale teoria, essa sarebbe stata superiore per decine di ordini di grandezza). Si dimostra anche un divulgatore affascinante e limpido, aspetto importante per il lettore non tecnico, visto che le parti in cui ci si addentra nell’illustrazione di argomenti di fisica non esattamente elementare (specie i risvolti più recenti) sono numerosi. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIRVoFoJ8I/AAAAAAAABIg/lnSUEAPS1tM/s1600/magueijo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="153" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIRVoFoJ8I/AAAAAAAABIg/lnSUEAPS1tM/s200/magueijo.jpg" width="200" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Da buon fisico teorico, Magueijo non si sottrae alle seduzioni delle ipotesi e delle speculazioni, ma nel ricostruire la vicenda umana di Majorana si attiene anche con scrupolo alla realtà dei fatti per noi ricostruibile. E del resto la sua vicenda emerge da quei fatti, che pure sono pochi, con urgenza e chiarezza. E’ proprio esplorando, indagando, quasi vivisezionando fatto dopo fatto che Magueijo porta la figura di Majorana ad affiorare sulle pagine del suo libro. Ne analizza spassionatamente il rapporto con una famiglia dove convivevano rigidezze e chiusure e spericolatezza intellettuale, senza forzare interpretazioni psicologiche che non siano ricavabili per il lettore da quanto egli offre alla sua lettura; mostrando la straordinaria funzione di stimolo che essa ebbe, e il dibattersi di una personalità abnorme come quella di Ettore Majorana entro le sue maglie. Di straordinaria vividezza è la ricostruzione del rapporto di Majorana con i “Ragazzi di Via Panisperna”, il gruppo di talenti della fisica che tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30 vennero radunandosi presso l’Istituto di Fisica dell’Università di Roma sotto l’ala protettiva del suo direttore, Orso Mario Corbino: i vari Enrico Fermi, Franco Rasetti, Edoardo Amaldi, Emilio Segré, Bruno Pontecorvo e altri. Un rapporto, che ben al di là delle agiografie ed eroiche mitologie che hanno plasmato il santino del gruppo di italici eroi, fu, per Majorana, ancor prima che di rivalità, di sostanziale estraneità. Antitetiche le personalità di Majorana appunto e di Fermi, che dei “Ragazzi” era il perno oltre che il capo, perché vi potesse essere una minima sintonia. Antitetiche per preparazione culturale e per spirito (perfino per intelligenza e creatività scientifiche – ma chiunque rischiava la magra figura a confronto di Majorana). E se Fermi sviluppò questa contrapposizione in termini di competitività e risentimento, la reazione di Majorana fu – prevedibilmente – più complessa. Egli tese a marcare nei fatti la sua estraneità, rifiutando una vera incardinazione nel sistema universitario e dell’Istituto romano (essa avverrà solo pochi mesi prima della sua scomparsa e all’università di Napoli), e appare aver sempre calato dall’alto i frutti del suo intelletto nella non lineare collaborazione con i “Ragazzi”; senza contare che lo sfoggio del proprio talento in faccia agli altri fisici non di rado era fatto con gusto malizioso. <o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIRdnr5NnI/AAAAAAAABIo/q5OLGI0Pvso/s1600/ragazzi_di_via_panisperna.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIRdnr5NnI/AAAAAAAABIo/q5OLGI0Pvso/s320/ragazzi_di_via_panisperna.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";"><o:p><span style="font-size: xx-small;"><i>I Ragazzi di Via Panisperna. Da sinistra: il chimico Oscar D'Agostino, Emilio Segré, Edoardo Aamaldi, Franco Rasetti ed Enrico Fermi </i></span> </o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Majorana pare aver sempre mostrato un atteggiamento paradossale verso quei frutti del proprio ingegno di cui dicevo, e di cui non sembrava curarsi minimamente: vi sono molti riscontri - e non vi è motivo per altro per non credere alle affermazioni di uomini che non avevano ragione per essere teneri o benevolenti con lui – sul fatto che egli abbia anticipato molti risultati della fisica nucleare degli anni ’30, ma che buttasse, alla lettera, i suoi studi nella carta straccia. A tutto questo si aggiunge il “buco nero” degli anni dal 1933 al 1937, durante i quali visse e lavorò rinchiuso in casa: la produzione scientifica di quel periodo andò perduta completamente dopo la sua scomparsa, apparentemente più che altro per incuria. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Sotto il profilo letterario Magueijo risulta assai convincente nell’applicazione di uno stile colloquiale e diretto di incisiva immediatezza, e mettendo in mostra un vero talento affabulatorio che come anticipato non gli difetta neppure nelle sezioni dove si dilunga nei dettagli del lavoro scientifico di Majorana e altri.<o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIR1lDIu5I/AAAAAAAABIw/yrzBQiTaMCU/s1600/O.M._Corbino.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TCIR1lDIu5I/AAAAAAAABIw/yrzBQiTaMCU/s200/O.M._Corbino.png" width="125" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";"><o:p><span style="font-size: xx-small;"><i>Orso Mario Corbino, la mente organizzativa dietro molti dei successi della fisica italiana degli anni '20 e '30</i></span> </o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Ovviamente Magueijo non si sottrae in nulla al richiamo della <i>cause célèbre</i> Majorana, il suo volatilizzarsi nel nulla alla fine del marzo del 1938. Come potrebbe? Non solo essa appare parte integrante della personalità del fisico italiano, ma inevitabilmente è uno dei grandi motivi che suscitano interesse per la sua figura, non per ultimo nello stesso autore della biografia. Lo scienziato portoghese, però, pur non sottraendosi neppure alla speculazione nel merito di cosa sia effettivamente accaduto (ciò che fa con eleganza e sobrietà) ha la capacità di inserire la vicenda terminale di Majorana nel mosaico della sua vita come tassello integrato. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 9pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright";">Per questo è un peccato che un titolo, a un tempo sublime e rigoroso quale <i>A Brilliant Darkness: The Extraordinary Life and Disappearance of Ettore Majorana, the Troubled Genius of the Nuclear Age</i> debba trasformarsi nel sensazionalistico, più banale e impreciso <st1:personname productid="La Particella Mancante" w:st="on"><i>La Particella Mancante</i></st1:personname><i> – Vita e mistero di Ettore Majorana, genio della fisica</i>. Editori e traduttori italiani sembrano tendere con particolare gusto alle soluzioni triviali. <o:p></o:p></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-79775478297100631902010-06-17T07:13:00.000-07:002010-06-17T07:13:53.683-07:00Quattro racconti di Saki (Hector Hugh Munro): Tobermory / The Unrest-cure / Sredni Vashtar / The Story-teller<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><o:smarttagtype name="PersonName" namespaceuri="urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags"></o:smarttagtype><style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBorqAA_oXI/AAAAAAAABEw/UqcNQySimRM/s1600/saki-hector-hugh-munro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBorqAA_oXI/AAAAAAAABEw/UqcNQySimRM/s320/saki-hector-hugh-munro.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Considerato in genere un autore “minore”, forse anche per la quasi esclusiva propensione a scrivere racconti brevi o brevissimi, Saki ci ha però consegnato un ritratto della società britannica del suo tempo di rare incisività e cattiveria.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Con la sua penna avvelenata, questo fecondo maestro della <i>short story</i> ha tratteggiato in rilievo una galleria completa di tipi umani: le persone dabbene della società edoardiana, quella varia umanità post-vittoriana erede diretta dei riti, le fobie, le inibizioni che hanno caratterizzato un’epoca assurta a simbolo dell’ipocrisia borghese con le sue piccinerie e censure spirituali. Saki unisce nei suoi racconti una grande abilità nella costruzione di trame efficaci, il gusto quasi sadico per una satira di costume tanto efferata quanto senza appello, e quello beffardo e <i>thrilling</i> per il dettaglio macabro. Lo sorreggono la finezza con la quale pennella in poche battute i personaggi e la destrezza con cui fa uso delle risorse linguistiche a sua disposizione. Nello spazio di brevi racconti forse non è possibile fornire approfondite analisi psicologiche, eppure le sintetiche descrizioni di Saki sono così taglienti da arrivare ugualmente in profondità e consegnare al lettore, completamente indifesi e nudi, i bersagli dei suoi strali. La lingua inglese, con quei vertici di formalismo rari tra le lingue europee e la ricchezza e plasticità del suo vocabolario, gli permetteva accuratezza estetizzante per il dettaglio e precisione iperrealista nella caricatura, entrambe decisive per l’abrasiva istantanea di vita edoardiana che egli compose. E, va detto, per la non meno abrasiva satira di comportamenti, abitudini, schemi di pensiero che non sono limitati entro epoche storiche o luoghi geografici, ma assumono piuttosto caratteri di universalità. Irregolare della letteratura e della società, personaggio complesso e problematico, tormentato spirito avventuroso sul quale forse incise la nascita nelle colonie, in Birmania, e la frustrazione per il fallito ritorno in quei luoghi durante la prima età adulta, Hector Hugh Munro sviluppò sotto il <i>nom de plume</i> di Saki quella distaccata osservazione dei suoi simili che tradusse nella ferocia con cui li mise alla berlina e che lascia quasi del tutto fuori uno slancio umanistico di redenzione. <o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBor6GmCgyI/AAAAAAAABE4/Ipt5kdwaDes/s1600/saki1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBor6GmCgyI/AAAAAAAABE4/Ipt5kdwaDes/s200/saki1.jpg" width="170" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Saki scrisse la quasi totalità dei suoi racconti nell’arco di poco più di un decennio, dal 1902 allo scoppio della I Guerra Mondiale per la quale partì volontario benché non fosse più di primo pelo. Morirà nel 1916 sul fronte francese.<o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBosAIzUFuI/AAAAAAAABFA/TsyahvGrESs/s1600/Saki+racconti.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="160" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBosAIzUFuI/AAAAAAAABFA/TsyahvGrESs/s200/Saki+racconti.JPG" width="200" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Tobermory</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">, <i>The Unrest-cure</i>, <i>Sredni Vashtar</i> e <i>The Story-teller</i> sono tra i racconti più noti dell’autore e sono stati recentemente ristampati nell’ambito dell’iniziativa editoriale delle <i>Short Stories</i> dell’Espresso, che da tempo offre in allegato al settimanale dei libretti che presentano, nel testo originale e in traduzione italiana a fronte, racconti o brevi novelle dal ricchissimo patrimonio della narrativa breve delle letterature anglosassoni. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBotHoFwIdI/AAAAAAAABFI/01t3k76Yopc/s1600/saki-1.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBotHoFwIdI/AAAAAAAABFI/01t3k76Yopc/s320/saki-1.png" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Tobermory</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> mette in scena le dinamiche che si instaurano all’interno di un gruppo nutrito di quegli esponenti della buona società inglese del tempo. Saki li riunisce in una grande villa di campagna, ospiti degli abbienti padroni di casa. Sono certamente annoiati, pettegoli, ottusi, aridi, concentrati sulle futilità della loro vita e sugli obblighi di mascheratura imposti da un’ipocrisia che è profondo <i>habitus</i> mentale ancor più e prima che stile di vita. I cortesi e oliati rituali del gruppo vanno in frantumi quando l’autore attua l’<i>éscamotage</i> di una diversione nel surreale introducendo il bizzarro personaggio di Cornelius Appin, a metà tra il ciarlatano e lo scienziato genialoide. Questi annuncia di aver finalmente coronato lo scopo di tutta la sua vita, riuscendo a insegnare a parlare al gatto di casa, Tobermory. Una bellissima cosa, se non fosse che Tobermory, prontamente convocato dinnanzi al consesso degli sfaccendati riuniti, mette in mostra la riprovevole abitudine di raccontare la verità iniziando a spiattellare gli altarini degli umani presenti: chi ha detto cosa di chi altro; chi vede chi; abitudini più o meno vergognose; scopi meschini più o meno reconditi. Per fortuna di molti, il gatto si interrompe dopo le prime rivelazioni per gettarsi alla rincorsa del grosso gatto dei vicini. L’esibizione è stata più che sufficiente, però, per gettare il gruppo nel pieno scompiglio e far venire i sudori freddi a tutti. Ha così inizio, mentre ci si guarda in cagnesco e affiora il malanimo, la discussione su come correre ai ripari – ovvero come far fuori il linguacciuto felino (e un pensierino viene dedicato anche al suo insegnante…). Da pungente, Saki si fa beffardo e crudele. Macabro. Forse perfino malvagio. Le mille paure, i trasalimenti di questi begli esemplari umani, il loro affannoso chiedere alla servitù se il gatto è rientrato e ha mangiato dalla sua scodella rifornita del cibo che si è alla fine deciso di avvelenare come soluzione più semplice: Saki è a dir poco diabolico nel conferire tutta la coloritura nera del caso a dialoghi e azioni, e spessore tridimensionale all’atmosfera di risentimento e sospetto creata. Tobermory libererà la compagnia dalle ambasce facendosi ritrovare il giorno dopo cadavere in giardino, scannato dal gattone dei vicini. Ma è proprio il sollievo e il ricomporsi dei rituali a rappresentare un’ulteriore frustata di Saki, che poi affida la chiusura, su una nota di umorismo nerissimo, a Clovis, personaggio ricorrente dei suoi racconti e al quale spesso delegava il compito di assestare qualche legnata ai benpensanti. Questi, commentando la notizia che Cornelius Appin era morto calpestato dagli elefanti allo zoo di Dresda in Germania, si esprimerà affermando che “<i>If he was trying German irregular verbs on the poor beasts, he deserved all he got.</i>”.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBotSu8vXHI/AAAAAAAABFQ/XphAFAWNMww/s1600/saki-204x300.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBotSu8vXHI/AAAAAAAABFQ/XphAFAWNMww/s320/saki-204x300.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Clovis torna in <i>The Unrest-cure</i>, dove è anzi il mattatore. Riflessa in quella di una ricca coppia di fratello e sorella, Saki mette alla gogna la più vieta abitualità nei comportamenti umani, che qui sfocia nel ridicolo del disagio spirituale provato da una coppia di fratello e sorella perché un tordo – forse un tordo diverso da quello che loro conoscono da anni – ha fatto il nido in un punto del giardino diverso dal solito. La miseria e la monotonia di esistenze che hanno giorni e orarii programmati per avere mal di testa. Clovis ascolta in treno i discorsi del fratello, J.P.Huddle, il tedio infinito per una vita senza accadimenti eppure terrorizzata da ogni possibile imprevisto. Decide perciò di offrire ai due una speciale <i>Unrest-cure</i>: una <i>cura dell’Antiriposo</i>. Il modo in cui gliela procurerà non è importante (lascia però ammirati il funambolismo verbale e scenico messo in atto da Saki per farlo). Ciò che è importante è la tempesta psicologica e domestica, descritta in modo magistrale, che la burla architettata da Clovis con smagata cattiveria scatenerà nei malcapitati fratello e sorella. I due ne escono a pezzi, come a pezzi escono dalla descrizione del rapporto di sudditanza psicologica della <i>upper class</i> nei riguardi della Chiesa. Ancora una volta il <i>black humour</i> di Saki trionfa, e il lettore prova un perverso piacere nell’assistere all’angoscia degli Huddle che pensano di ospitare in casa loro l’arcivescovo, il quale avrebbe deciso di sterminare gli ebrei del circondario, servendosi alla bisogna anche di un manipolo di feroci boy-scout. <i>Shock and awe</i>, si direbbe oggi. Ma forse è solo che gli Huddle sono così terribilmente formali e dabbene. Insomma ottusi. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBotZdbG1EI/AAAAAAAABFY/DWB2huksH08/s1600/saki+libro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBotZdbG1EI/AAAAAAAABFY/DWB2huksH08/s320/saki+libro.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Sredni Vashtar</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">, tra i quattro racconti, è forse quello dove il macabro e la crudeltà raggiungono il culmine. L’aspetto satirico si stempera e lascia maggiore spazio agli aspetti psicologici della vicenda e ai dettagli grotteschi. Sredni Vashtar è un grosso furetto. L’animale è segretamente custodito in una rimessa da Conradin, il bambino protagonista del racconto. Di Conradin sappiamo che è ammalato, e probabilmente non vivrà a lungo, e che odia la cugina, <st1:personname productid="la signora De Ropp" w:st="on"><st1:personname productid="la signora De" w:st="on">la signora De</st1:personname> Ropp</st1:personname>, <st1:personname productid="la quale MAI" w:st="on">la quale MAI</st1:personname> dovrà venire a conoscenza dell’esistenza di Sredni Vashtar. Cugina e tutrice, <st1:personname productid="la signora De Ropp" w:st="on"><st1:personname productid="la signora De" w:st="on">la signora De</st1:personname> Ropp</st1:personname> è incarnazione di tutto ciò che è rispettabile, normale, rigido e privo di fantasia. La fantasia è invece la sola arma con <st1:personname productid="la quale Conradin" w:st="on">la quale Conradin</st1:personname> sfugge occasionalmente alla sua guardiana. Conradin ha fatto del suo furetto una divinità, a lui eleva preghiere e impetra grazie: quella di levargli di mezzo la cugina, per esempio e per prima. Nulla di troppo strano, a tutti noi è capitato di augurarci la più o meno serena dipartita di qualcuno particolarmente molesto. Magari non attraverso i buoni uffici di un nume privato con le sembianze di un mustelide. Però un bambino solitario, malato e dall’immaginazione fertile e infiammata può certamente arrivarci. Al mustelide. Saki elabora studiatamente la psicologia e i comportamenti del bambino, e le opposte reazioni della donna. Dal loro reciproco non sopportarsi, malcelato soprattutto nel caso della adulta, traspare in filigrana e poi con sempre maggiore evidenza la potenza patogena delle convenzioni sgradite che costellano i legami familiari; il sadismo che sovente ne consegue nelle relazioni interpersonali tra chi detiene e chi subisce il potere; e il risentimento che si stratifica nel tempo per poi esplodere apparentemente a sorpresa. Ed è proprio ciò a cui assistiamo: i piccoli e grandi sadismi, il risentimento che monta. E le preghiere a Sredni Vashtar. E’ con gioia evidente che al termine di una vera e propria caccia al tesoro, <st1:personname productid="la signora De Ropp" w:st="on">la signora De Ropp</st1:personname>, insospettita dalla frequenza e durata delle visite di Conradin alla rimessa, gli sottrae la chiave della misteriosa gabbia che il bambino custodisce. Saki si supera nella fulminea descrizione dello psicodramma che segue: il bambino assiste dalla finestra della cucina all’ingresso trionfale della donna nella rimessa, in un tumulto di emozioni si rivolge al furetto per un’ultima, disperata preghiera. Un miracolo. La donna gli ha già tolto la gallina con cui pure giocava, ora sarà la volta del suo dio? Sempre più turbato, Conradin non vede la donna uscire con il tempo che passa. Finché a uscire furtivo è Sredni Vashtar. Saltellante, l’animale si allontana, il pelo del muso e le zanne che colano un liquido scuro: Conradin si imburra abbondantemente del pane tostato, azione che <st1:personname productid="la signora De Ropp" w:st="on"><st1:personname productid="la signora De" w:st="on">la signora De</st1:personname> Ropp</st1:personname> non approverebbe. Quando la servitù cercherà la signora, e proromperanno infine le urla, il personale di casa prenderà a interrogarsi su chi avrebbe avuto il coraggio di dare la notizia ferale al bambino. </span><i><span lang="EN-GB" style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">And while they debate the matter among themselves Conradin made himself another piece of toast</span></i><span lang="EN-GB" style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">. </span><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Be’, <i>chapeau</i>! E <i>rest in peace</i>, Mrs De Ropp.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBotilU_hDI/AAAAAAAABFg/E1cnJVhVNfk/s1600/Saki.jpeg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBotilU_hDI/AAAAAAAABFg/E1cnJVhVNfk/s320/Saki.jpeg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">The Story-teller</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> presenta una vicenda molto simile, ma con la fondamentale differenza che essa accade nel racconto che un uomo fa per intrattenere tre ragazzini. Il contastorie del titolo è un povero diavolo, un giovane che si ritrova nello scompartimento del treno una zia con tre ragazzini, due femmine e un maschio. Tre pestiferi elementi, mai zitti, in continuo movimento, indisciplinati, rumorosi, petulanti. Tre corifei dell’eterna inesausta domanda: <i>perché</i>? Il viaggio sarà ancora lungo. La situazione porge il destro a Saki per esporre in modo tanto succinto quanto completo la sua poetica e forse il senso stesso della letteratura. Quando infatti la zia, nel miseramente fallito tentativo di tener buoni i tre piccoli selvaggi racconta loro la storia di una bambina buonissima, diligentissima, perfettissima – e premiata dagli eventi per questo – il giovane interverrà criticandone il talento di contastorie. Sfidato dalla zia a far meglio, narrerà a sua volta la storia di una bambina buonissima, diligentissima, perfettissima – e premiata per questo con ben tre medaglie. Ma questa bambina è <i>horribly good</i>. E al sentire l’avverbio l’attenzione del giovanissimo uditorio si desta e le orecchie si drizzano. Bertha, la bambina <i>horribly good</i>, riceverà il giusto guiderdone della sua <i>horrible goodness</i>:per l’intempestivo tintinnare delle medaglie che porta appuntate sulla vestina, verrà divorata da un lupo nel giardino del Principe (ciò che, per il giubilo dei tre ragazzini, permette tra l’altro ai maiali del Principe di salvarsi dal lupo). La zia è debitamente scandalizzata per una storia dove la bontà non è premiata (e che i ragazzini hanno molto gradito: <i>the story began badly, but it had a beautiful ending </i>dice la più piccola delle femminucce). </span><span lang="EN-GB" style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Ma il giovane le risponderà <i>I kept them quiet for ten minutes, which was more than you were able to do</i>. </span><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Forse la storia non sarà stata molto educativa, è vero, ma l’apologo fulminante di Saki centra il punto fondamentale: per insegnare si deve partire dal coinvolgimento di chi apprende. Così come il solo peccato mortale della letteratura è di risultare noiosa. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-64625872752252446532010-06-12T02:47:00.000-07:002010-06-12T02:50:35.553-07:00Il pranzo della festa. Una storia dell'alimentazione in undici banchetti - di Martin Jones<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBNYNVFjVOI/AAAAAAAABD4/YFVdxerOJFU/s1600/Pranzo_della_festa2643_img.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBNYNVFjVOI/AAAAAAAABD4/YFVdxerOJFU/s320/Pranzo_della_festa2643_img.jpg" /></a></div><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBNXYtC7X5I/AAAAAAAABDo/3AJKKHchCuA/s1600/martin-jones.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><br />
</a><br />
<div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il pranzo della festa</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> è un titolo persino frivolo; e il sottotitolo – <i>Una storia dell’alimentazione in undici banchetti </i>– pare quasi sottolineare questa leggerezza. Come spesso succede, il titolo originale è più sobrio e centrato: <i>Feast. Why humans share food</i>. L’argomento è arduo e complesso. Non meno però, di quanto sia affascinante e appagante una volta che ci si immerge nelle pagine del libro.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Martin Jones è un archeologo inglese, si occupa in particolare dei reperti legati al consumo e alla produzione del cibo e agli effetti dell’alimentazione sull’uomo e la sua organizzazione sociale.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Per gran parte di noi occidentali la produzione del cibo è un’attività che appare ormai remota, e la sua consumazione è un rito quotidiano che diamo per scontato. Tendiamo quindi a sottovalutare il fatto molto concreto che l’alimentazione è la base da cui non può prescindere la nostra esistenza, individuale e di specie. Neppure siamo (più) coscienti del fatto che il procacciamento del cibo è stato l’assillo più gravoso lungo quasi tutto lo snodarsi della storia del nostro genere e di quelli dai quali ci siamo evoluti.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il libro di Jones fa qualcosa di più che semplicemente ricordarci questi aspetti che nel nostro occidentale, noncurante ingrassarci e ingozzarci tralasciamo spesso e volentieri.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Jones esegue una profonda e accurata analisi di tutti i dati in nostro possesso: archeologici, climatologici, biologici. Principiando dalla ricostruzione minuziosa delle dinamiche pre-umane di accesso e consumazione del cibo presso una comunità di scimpanzé, e proseguendo poi con l’uomo a partire dalla ricostruzione archeologica di un sito di 500.000 anni fa dove un gruppo di <i>Homo heidelbergensis</i> macellò e in parte consumò un cavallo selvatico, approderà alla nostra civiltà del <i>fast-food</i>. Undici tappe, archeologiche e non, di un percorso attraverso il quale l’autore ci conduce, dipanando una storia che ha punti di cesure e fili che al contrario paiono e sono ininterrotti. E’ una considerazione banale, ma ancora una volta è qualcosa che tendiamo a dimenticare con eccessiva facilità: il cibo – la sua disponibilità, il procacciamento, la sua consumazione – ha cambiato l’uomo durante il corso di tutta la sua esistenza come specie. Cambiato sul piano biologico, sociale, psicologico. A sua volta l’uomo a fini alimentari ha continuamente, incessantemente mutato l’ambiente naturale dove reperisce le sue fonti di cibo e i metodi impiegati per procurarselo. Ancora oggi la tecnologia più determinante – e la cesura determinante – introdotta dall’uomo è quella agricola, che ha completamente rivoluzionato i comportamenti della nostra specie: sotto il profilo economico, sociale, psicologico, religioso, fisiologico. E’ con l’agricoltura che nascono l’accumulazione di capitale e la gerarchia sociale, quindi l’interconnessa società globale nella quale viviamo. E dunque anche la guerra come paradigma del rapporto tra nazioni per il controllo delle fonti di approvvigionamento. Nessuna tecnologia, infine, ha mutato maggiormente e più in profondità il volto fisico del pianeta. Che sia stata un’innovazione felice è pertanto tutt’altro discorso. <o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBNXjYuUX_I/AAAAAAAABDw/oCiIstRQGZY/s1600/Pranzo_della_festa2643_img.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br />
</a><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBNYVIJXDjI/AAAAAAAABEA/d7iknfpaHAg/s1600/martin-jones.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TBNYVIJXDjI/AAAAAAAABEA/d7iknfpaHAg/s320/martin-jones.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Se l’uomo ha plasmato il suo cibo attraverso l’agricoltura, a sua volta QUEL cibo ha plasmato l’uomo. La sua disponibilità, conservabilità, riproducibilità hanno determinato il successo riproduttivo della nostra specie. Su QUEL cibo, che essenzialmente è il cereale, l’uomo ha ri-edificato la sua società e le sue credenze. A loro volta, questi memi potentissimi hanno condizionato l’uomo, fino a mimare nella nostra psiche una supposta naturalità dell’agricoltura e delle costruzioni psicosociali che ha indotto. Fino a condizionare la scelta naturale: ad esempio è sicuramente materia di riflessione il perché la nostra civiltà occidentale abbia finito per adottare come alimento base il frumento (anzi, alcune sue varietà) e non un cereale sotto quasi ogni aspetto superiore quale è l’orzo. In Asia si può proporre la stessa riflessione scambiando il frumento con il riso. L’agricoltura e le sue sovrastrutture ideali e sociali non hanno solo inciso in modo negativo sulla fisiologia umana, ma hanno introdotto un certo conservatorismo culturale nella specie, rallentandone le capacità di risposta a eventi esterni. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Sebbene il rigore tecnico con il quale Jones procede renda a volte di non immediata comprensione e fruizione la materia trattata, tuttavia quello stesso rigore, e il puntiglio dello scienziato, sviscerano l’argomento in modo così completo e profondo da permettere al lettore disposto a impegnarsi di giungere a una piena cognizione di un soggetto così complesso e dalle infinite ramificazioni nelle più varie discipline. Da un punto di vista squisitamente letterario l’ironia appena accennata di cui Jones sa far uso agevola questo percorso.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Questo rigore e questo puntiglio sono non meno importanti per illustrare il metodo di lavoro applicato, e più in generale il procedere di un’indagine scientifica, il formarsi delle ipotesi, la ricerca delle conferme, il lavoro di analisi ed esegesi delle fonti.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il pranzo della festa</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> non è soltanto una disamina chiara, completa e ricchissima di riflessioni collaterali sull’aspetto più centrale della storia umana allo stato delle conoscenze attuali; non è meno una narrazione potente di questa storia. Dal complesso dei dati Jones trae una materia che è viva. I siti archeologici presso i quali trasporta il lettore prendono letteralmente vita, mostrandoci l’umanità che li abitava e che lottava senza posa per sopravvivere, poi per espandersi e moltiplicarsi. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Non è frequente imbattersi in libri che riescono a fare tutto ciò. A permetterci di conoscere noi stessi, di capire come e perché siamo giunti dove siamo ora. E che lo facciano affascinando. Libri che danno senso all’attività della lettura. <o:p></o:p></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-89430797435390661222010-06-05T02:46:00.000-07:002010-06-05T08:59:50.261-07:00Patrie impure I - Maiali, di Antonio Moresco<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAocWez-84I/AAAAAAAABCE/ke2QlJLilj0/s1600/Antonio+Moresco.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAocWez-84I/AAAAAAAABCE/ke2QlJLilj0/s320/Antonio+Moresco.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Patrie impure</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> è un titolo di aspra bellezza. C’è la nobiltà delle “patrie” per cominciare. Che è pur assai diversa dalla “patria” indistinta, che ci rammenta il difficile cammino verso un’identità condivisa e condivisibile e l’inevitabile differenza che permane tra le idee, le raffigurazioni mentali di ciascuno di noi. E ci sono la sincerità e la ruvidezza di quell’”impure”; perché non è mai un bene chiudere gli occhi: che queste nostre patrie italiane siano bastarde o imbastardite è appunto sotto gli occhi di ognuno. A patto di volerli aprire e tenere aperti. La verità è ruvida, scomoda; la sincerità è impura nel suo non curarsi di assumere una forma depurata da asperità e studiata per non provocare turbamenti in anime assopite. Ma riconoscere che viviamo nel ventre di patrie impure è invece il passo necessario per amarle e desiderarne un mutamento culturale e civile, la costruzione di un edificio infine condivisibile e libero.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAocdTU2jxI/AAAAAAAABCM/Nxf6WV9nMxo/s1600/patrie+impure.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAocdTU2jxI/AAAAAAAABCM/Nxf6WV9nMxo/s320/patrie+impure.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Una voluminosa antologia di racconti “impegnati” è un grosso rischio. Intanto perché impegnati e quindi militanti. E quindi in opposizione a quel disimpegno altrettanto militante – e tanto più facile da accogliere – che è lo strumento etico ed estetico attraverso il quale è attuato il governare appecoronando. Perché insomma c’è un rifiuto a chiudere gli occhi e il coraggio di scegliere. Nel 2003, quando l’antologia appare, la società, la politica, l’economia italiane non sembrano ancora aver raggiunto quel grado di decomposizione al quale siamo arrivati ora; ma basta far mente locale e dobbiamo arrenderci alla realtà che si trattava di pura illusione.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Altro rischio è quello che si corre nel mare delle librerie e del pletorico flusso di libri, per lo più inutili, che circonda il lettore: l’invisibilità. Confesso che sette anni or sono non mi avvidi proprio di questo libro. Poi qualche settimana fa me lo ha restituito la generosità di una bancarella romana. Mi colpiscono quel titolo, l’eleganza così essenziale della copertina di Lorenzo Mattotti (presente anche all’interno, dove due dei racconti sono a fumetti, per i suoi disegni appunto). Mi colpisce la promessa del coro di voci, oltre quaranta racconti dei più vari scrittori. L’assunzione di un programma tanto difficile: tentare un ritratto delle Italie contemporanee.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Come amo spesso fare con volumi di questo tipo attacco alla rinfusa, con l’intenzione di leggerne quando e come capita.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Maiali</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> è il secondo racconto del libro. Diviso in due nettamente. Nelle prime pagine Antonio Moresco si abbandona alla durezza senza sconti dell’invettiva. Con un’amarezza e perfino una rabbia, non mai disgiunte dalla lucidità, ci racconta un’Italia che vediamo ancora adesso, in ogni momento delle nostre giornate. Le piccole e grandi rapacità degli affari e dei vari reggitori della macchina statale. I servilismi che corrodono il senso civile (se mai lo abbiamo avuto). L’ignoranza, specie quella orgogliosa di sé, che informa la vita spirituale. Lo sgretolarsi, il venir meno delle promesse – non soltanto in Italia, certo – di quel cammino della democrazia iniziato più di due secoli fa e che ora appare destinato a spegnersi nella cristallizzazione dei propri riti (elettorali) svuotati di ogni vera sostanza.<o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAocjXUrJjI/AAAAAAAABCU/JIvKKOrvebg/s1600/Antonio+Moresco2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAocjXUrJjI/AAAAAAAABCU/JIvKKOrvebg/s320/Antonio+Moresco2.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il lamento per i tempi andati appartiene a ogni epoca; però Moresco non si limita e non ci limita alla lamentazione nostalgica, che è tratto quasi genetico dell’uomo e posa letteraria. Quando cita Walt Whitman che descrive gli Stati Uniti del suo tempo ci basterebbe sostituire a essi l’Italia di oggi per avere un ritratto fedele della nostra realtà. Eppure Moresco va oltre la posa moralistica, trasversale alle epoche storiche, e ci incita a cogliere il nucleo fruttuoso di questa pratica che spesso è sterile: la funzione della memoria. E’ proprio la memoria, la merce più rara se ci guardiamo d’attorno, a porre il discrimine tra sterile e fecondo. La memoria, come è nel Whitman citato da Moresco, è il solo strumento del nostro pensiero critico che sia necessario e sovraordinato a ogni altro: perché è attraverso di essa che possiamo operare confronti, distinzioni, scelte libere e consapevoli. Se l’invettiva del moralista si risolve nel pensiero che tutto va male comunque, che la natura umana è immutabile, sarà stata sterile. Se invece ci permette e anzi se ci stimola – o ancor meglio se ci forza con violenza – a riflettere sui tempi che viviamo, sulle differenze e sulle analogie con altri, sulle prospettive future e su quelle storiche – se insomma ci costringe a esercitare la funzione critica della memoria – allora avrà avuto un senso. Allora potremo accorgerci come la riduzione a un eterno presente della nostra storia e della nostra vita sia stato e sia ancora lo strumento cardinale del potere politico, mediatico e culturale degli ultimi trent’anni. Se ieri non è più distinguibile da oggi non perché indistinguibile ma perché rimosso, allora è orwellianamente possibile l’infinita ripetizione delle promesse e dei tradimenti; la fungibilità degli opposti; la demonizzazione della funzione critica; lo svilimento e la banalizzazione dello strumento principale del pensiero, cioè la parola, oppure il suo uso terroristico in costrutti verbali privi di senso reale. La colpevolizzazione della memoria storica quale fosse il rifiuto astioso di una ricomposizione civile rimuove il nostro ieri e impedisce di ricomporre il presente attraverso la comprensione del e la connessione con il passato; permettendo in tal modo di condurre il gregge nazionale al pascolo prescelto. E poi al macello.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Tutto questo Moresco, non a caso, lo suggerisce, lo mostra, a tratti lo urla, proprio attraverso il ricordo. Raccontandoci di sé stesso che ricorda. L’eleganza della sua scrittura non ha nulla di asettico, e anzi è diretta e petrosa; è scabra ed energica. La limpidezza non ha nulla della trasparenza di un fragile cristallo, ma se mai di un diamante incolore. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">La seconda parte del racconto si apre sui maiali del titolo. Veri e propri inizialmente, poi giungeranno anche quelli metaforici.<o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAocwmanbOI/AAAAAAAABCc/EFe6JB7r7Es/s1600/dies.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAocwmanbOI/AAAAAAAABCc/EFe6JB7r7Es/s320/dies.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Moresco allarga la funzione della memoria. Passa dalla memoria personale a quella condivisa, individua un momento della nostra storia dove la smemorizzazione mediatica dell’informazione ha le sue radici più forti. Un evento seminale per la spettacolarizzazione televisiva della vita e della morte; per la creazione di un immaginario dove gli opposti sono fungibili, il presente è totalizzante, il dolore è ridotto a una funzione circense, e il pubblico (non solo) televisivo si muta in platea indistinta di fan dei volti televisivi. Qualche anno dopo, nel voluminoso romanzo <i>Dies Irae</i>, anche Giuseppe Genna, presente in questa antologia con un suo racconto, porrà la lunga diretta dal pozzo nel quale era caduto il piccolo Alfredo Rampi come spartiacque culturale dell’Italia contemporanea. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Vediamo così i maiali del genere <i>Sus scrofa</i> assieparsi sul bordo del pozzo, e poi sostituiti da maiali diversi, stazionati in posa eretta. Moresco lascia il 1981 e l’evento reale per immaginare cosa avverrebbe se esso si ripetesse oggi (cioè nel 2003). Per mostrare l’accorrere e l’accalcarsi dei teatranti televisivi - che siano facce politiche o dell’informazione o dello spettacolo, o ancora l’immancabile prete - attorno al fatto eclatante una volta di più occasione per mettersi in mostra, per sfruttare e soggiacere alla realtà e alle necessità dell’eterno presente televisivo nel quale è stata trasformata l’Italia. Per mostrarli nel loro intralciare i soccorsi. Per mostrarci la nostra realtà di parassiti emotivi.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAoc2RdClQI/AAAAAAAABCk/FGebHn7Us6U/s1600/Antonio+Moresco1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/TAoc2RdClQI/AAAAAAAABCk/FGebHn7Us6U/s320/Antonio+Moresco1.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Poi, con un ultimo balzo della fantasia, Moresco ci trasla nel puro immaginario, dove l’allegoria però si completa e si compie, passando dalla raffigurazione all’interpretazione e progettazione della realtà. Vediamo il bambino dentro il pozzo parlare con ciò che è in alto (l’immancabile pretone, l’immancabile politicone) e ciò che in basso (un Dio che gli si presenta ctonio). A tutti loro che lo esortano a uscire fuori dal pozzo il bambino chiede perché dovrebbe: “perché qui è più bello” è la risposta, che non ha ulteriori spiegazioni. Ma le affermazioni di notorii falsarii a quanto pare non convincono il bambino. La natura, sotto forma di una formica e un lombrico non gli nascondono e anzi gli rammentano che lì, sotto terra, è freddo. Eppure il bambino non intende salire. Rifiuterà di uscire dal grembo della terra, rifiuterà di nascere. E’ una conclusione in apparenza amara, disperata. Che però dovrebbe anche scuotere. Quel bambino là sotto la terra, nel grembo dell’Italia c’è, ed è vivo. E’ un futuro che rifiuta la realtà di un presente al di sotto di ogni civile aspettativa. E’ un futuro che, ci dice Moresco, va convinto a nascere con il rifiuto di questo presente che ha abdicato alla memoria.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> <o:p></o:p></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-85830515841628564902010-05-26T05:03:00.000-07:002010-05-26T05:03:09.913-07:00I Preti di Stargorod - Nikolaj Semënovič Leskov<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><o:smarttagtype name="PersonName" namespaceuri="urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags"></o:smarttagtype><style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_0NGW1xerI/AAAAAAAAA98/tDNlaSddb2k/s1600/Leskov.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_0NGW1xerI/AAAAAAAAA98/tDNlaSddb2k/s320/Leskov.jpg" width="250" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Leskov non è certo il più reputato dei grandi narratori russi del XIX secolo. A questo concorrono probabilmente due aspetti: il suo essere soprattutto un novellista d’eccezione in una terra e un tempo di fluviali romanzieri e poeti ardenti, e un’apparente maggior leggerezza dei temi. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">I Preti di Stargorod – Cronaca</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> (il cui titolo originale suonerebbe un ancor più asciutto “Preti”, sempre con quel sottotitolo: “cronaca”) è forse il suo romanzo più noto, e mi pare in grado di rendere giustizia al suo autore. Per un verso esso evidenzia i limiti – se di limiti necessariamente si tratta – di Leskov: come romanzo si mostra infatti eterogeneo, le sue parti non appaiono equilibrate e all’apparenza manca di coesione narrativa: quel sottotitolo Cronaca sembra descriverlo alla perfezione, più cronaca giornalistica che (re)invenzione letteraria, analisi della realtà. Ma tra le pieghe di questi limiti – o meglio dandosi cura di leggere con attenzione il romanzo – se ne scorge il superamento per altre vie.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il romanzo appare disarmonico ed eterogeneo perché indubbiamente lo è, sin dalla sua genesi: le sue parti vennero infatti disparatamente pubblicate nel corso di un decennio circa. Ma proprio la sua natura cronachistica permette a Leskov di volgere in pregio questo difetto: <i>I Preti di Stargorod </i>finisce con l’essere una somma di racconti, e di racconti nei racconti, terreno sul quale l’autore si muove con grande sicurezza grazie all’abilità di sintesi che mostra nello schizzare i caratteri, nel tratteggiare in economia una psicologia completa, nel vigore emozionale che sa imprimere ai brevi scorci lirici che intessono la narrazione: verso la fine del romanzo è magistrale la descrizione della tempesta che coglie nella campagna padre Tuberozov, dello smarrimento dell’arciprete di fronte alla grandiosità della natura, e vi si avverte in modo sottilissimo ma pieno la prefigurazione della morte che coglierà l’anziano religioso di lì a non molto. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Ma una somma di racconti non fa ancora un romanzo. Un primo elemento unitario, labile, si può rintracciare nello spirito ambiguo che anima tutto il romanzo, sospeso tra un senso incombente di morte e l’erompere di una vitalità molto russa e molto prepotente; ambiguità che si risolve nella ciclicità naturale della vita. <i>Per il clero di Stargorod era giunta un’epoca di completo rinnovamento</i>: così Leskov conclude il romanzo. Una cronaca ha termine, se mai dovrebbe iniziarne una nuova. A una stagione ne succede un’altra. <o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_0NRIhyvaI/AAAAAAAAA-E/Kzux5kVUEZ0/s1600/preti+di+stargorod.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_0NRIhyvaI/AAAAAAAAA-E/Kzux5kVUEZ0/s320/preti+di+stargorod.jpeg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-align: center; text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><o:p><span style="font-size: x-small;">La spartana edizione BUR del libro (1962)</span> </o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Un secondo elemento unitario, neppure esso decisivo, sono le figure stesse dei preti della città di Stargorod. Quanto meno dei due che nell’economia di questo romanzo dispersivo e anarchico assumono ruoli centrali, prossimi a quelli di veri e propri protagonisti (e comunque si tratta dei soli personaggi tali da configurarsi come protagonisti): l’arciprete Tuberozov e il diacono Achilla. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Sebbene la prima parte del romanzo - che da sola ne occupa quasi un terzo - e la seconda siano corali e presentino una galleria umana straordinaria per varietà e finezza di rappresentazione, anche se spesso il bozzetto prevale sul grande ritratto, già in esse il diacono e l’arciprete assumono un rilievo particolare, e l’autore si sofferma sull’esteriorità dei loro gesti e gesta, se non ancora sulla loro anima e pensieri profondi. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Nella prima parte, la lunga ricognizione del diario dell’arciprete vuole mostrarci uno spirito ardente e puro, ma resta ancora superficiale: Leskov ci dice troppo, e come spesso accade quando l’autore prende il posto del suo personaggio finisce per dirci troppo poco: per raccontarci in luogo di mostrarci. E’ sicuramente la sequenza più debole dell’opera. Sarà nella quarta parte del romanzo, quando egli lascerà a Tuberozov tutto il campo, che la grande anima dell’arciprete ci si rivelerà nelle sue azioni e pensieri, non più raccontati ma lasciati alla nostra osservazione di lettori. Sarà qui che la grande complessità della personalità dell’arciprete ci svelerà la sua celata semplicità; che la sua asprezza lascerà vedere in controluce l’onestà disposta a qualunque sacrificio; che l’ottusità del pope, grattatane la superficie farà affiorare tutto l’amore del vero – rarissimo – cristiano. In ultima analisi è qui che la semplicità di padre Tuberozov torna a mostrarci tutta la complessità della sua figura letteraria e di uno spirito sofferto incapace di scendere a compromessi, e che sempre ha anteposto il rispetto della genuina legge (divina) al rispetto per le gerarchie (terrene). Si può non essere d’accordo con l’arciprete ma non si può non ammirarlo. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Anche Achilla, il gigantesco, esuberante, eccessivo diacono non emerge ancora del tutto nelle prime due parti del romanzo. Le sue (dis)avventure, le vere e proprie monellerie, il vicendevole farsi la forca con i nemici “intellettuali” anticlericali come il professore Varnava Prepotenski (una spettacolare figura di idiota totale) – tutto resta ancora nella dimensione dell’elemento di colore: Achilla incarna, in modo schematico e anche stereotipato, l’elemento popolaresco e sanguigno. Sarà nella quinta e conclusiva sezione del romanzo che Achilla assumerà rilievo definitivo. Il particolare rapporto di affetto che univa il diacono e l’arciprete è chiaro sin dall’inizio: per l’anziano padre Savieli Tuberozov, il diacono è quel figlio che l’amata moglie Natalia non ha potuto dargli, e il suo amore per lui è quello per un figlio scapestrato, sempliciotto, turbolento, ma al quale si riconosce una bontà incondizionata. Così come l’amore di Achilla per l’arciprete mescola quello del figlio per il padre, del semplice per l’astro del proprio sistema di riferimento, del cane per il suo padrone. Quando padre Savieli morirà, un Achilla schiantato dal dolore assumerà su di sé il compito di preservarne la memoria, in corsa contro la propria morte, che il colosso presentiva. Ad Achilla erano venute meno le sue sicurezze: nella propria forza fisica, quando il furfante Termosiesov lo aveva colpito a tradimento; nell’arciprete, sottrattogli dalla morte e ancor prima dall’interdetto arcivescovile; forse nella stessa religione, che prima punisce ingiustamente Tuberozov e poi dopo la sua morte lo sostituisce come niente fosse con un nuovo arciprete. Nella vita stessa, in ultima analisi, che con il suo continuare quieto intorno alla sua disperazione gli viene a frantumare la griglia di certezze all’interno delle quali il diacono aveva identificato la propria esistenza. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_0NoYInysI/AAAAAAAAA-M/1pvPqQ-eLGg/s1600/Leskov+piccolo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_0NoYInysI/AAAAAAAAA-M/1pvPqQ-eLGg/s320/Leskov+piccolo.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Tuttavia pure le figure dei due religiosi, dapprima in parte diminuite dal coro degli altri personaggi e poi libere di giganteggiare, restano elementi troppo poco coesi per “fare romanzo”. Basterebbe l’importanza che assumono altre due figure: Termosiesov, mattatore assoluto della terza sezione dell’opera e Nikolaj Afanasievic, la cui presenza emerge qui e là nell’arco di tutta l’opera. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">La terza parte de I Preti di Stargorod fa quasi storia a sé, sia per il vigore del personaggio di Termosiesov che perché egli e il suo superiore Bornovolokov sono presenti solo qui, e al massimo citati di sfuggita in seguito. Anche se è proprio Termosiesov ad assumere il ruolo di frangitore dell’equilibrio (seppure instabile) di Stargorod, innescando con i suoi inganni, truffe e crimini vari gli eventi che infine risulteranno nella morte di padre Savieli e Achilla. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Con Termosiesov Leskov ci consegna una formidabile figura di ribaldo. Nella dimensione di un romanzo, sarebbe stato un personaggio degno di figurare accanto a un Uriah Heep. Qui diventa il protagonista assoluto di un racconto nel racconto; schizzato in poche ed efficacissime battute affiora il ritratto di un vero amorale. La malvagità di Termosiesov è istintiva, ferina, noncurante. Anche quando egli studia e si applica nell’esecuzione di un’azione atta a recare un danno gratuito a qualcuno, il primo movente che emerge è che egli agisce perché può farlo. Perché forse è divertente. E perché ne ricava un vantaggio, certo. Ma la netta impressione è che soprattutto si diverta: a ingannare donnette credule e vanitose; a tenere in pugno individui fragili e abietti come il principe suo superiore; a far del male a persone migliori di lui come padre Savieli; a sfidare il buon diacono perché potrà sempre sgambettarlo confidando nell’ingenuità di questi. Quel che perde in profondità nel ritrarre questo suo avventuriero, Leskov lo guadagna in vigore e colore del racconto. Nel gioco verbale.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Nikolai Afanasievic, il piccolo uomo, il nano servo della gleba della boiarda Plodomasova è invece tutt’altro personaggio. Attraverso di lui Leskov pare quasi voler fare un riassunto di quello che egli ritiene sia il carattere del suo popolo: mite, semplice, rispettoso di chi considera superiore a sé; ma anche determinatissimo, fedele all’amicizia fino alla morte, saggio. Il santino è però rischiarato dalla grande umanità che Leskov vi trasfonde. La tessitura degli eventi che lo coinvolgono, le sue parole e quelle degli altri personaggi su di lui sono sempre così sincere e genuine che il piccolo Nikolai perde la falsità che una figura del genere potrebbe finire con l’assumere e si riveste di un lirismo dolce e soffuso che lo rende uno dei personaggi indimenticabili di questo romanzo.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Se tutti gli altri uomini e donne che ruotano attorno alla vita di Stargorod sono meno rilevanti e decisivi, compreso il terzo dei preti, quel mite e incolore padre Zacharia Benefaktov cui l’autore concede però l’ultima parola facendolo morire dopo i confratelli, a suggello delle cronache di Stargorod; è non meno vero che a tutti Leskov concede lo spazio di una breve illuminazione, uno squarcio narrativo durante il quale in poche righe ci presenta un uomo o una donna, e soprattutto un’anima. Da quel Varnava Prepotenski che si crede un moderno intellettuale ed è un povero cretino, alla sua in tutto degna amica Biziukina; dalla tragica figura di Danilka, tra lo scemo del villaggio e lo spostato moderno, e che sarà causa indiretta della morte di Achilla, al maresciallo della nobiltà Tuganov, che sotto l’apparente cinismo e disinteresse per tutto rivela una grande generosità; dal ritratto, a un tempo spietato e umanissimo che da della nobiltà terriera con la figura di Marfa Plodomasova, che ha grande affetto per Nikolai ma lo umilia senza neppure accorgersene, alla moglie del direttore dell’ufficio postale di Stargorod, tutta compresa nelle sue piccinerie di borghesuccia.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">E’ difficile raccapezzarsi in questa congerie di umanità, in questa eterogenea umanità. Difficile rintracciare un filo comune che conduca a un’identità del romanzo, che possa rappresentare la filigrana de <i>I Preti di Stargorod</i>. Eppure è proprio questa pluralità di voci e di quadri, questa varietà a rappresentare in qualche modo un elemento unificante, di coesione. Queste sono davvero le cronache di Stargorod, questa città immaginaria epitome di tutta <st1:personname productid="la Russia. E" w:st="on"><st1:personname productid="la Russia." w:st="on">la Russia.</st1:personname> E</st1:personname> sono le cronache del suo clero. Così umano, così lontano dal rappresentare un modello, così impermeabile alla realtà che si fa strada nel mito di una Russia immobile; ma anche così dolce, così buono, così amorevole. Così lontano dalla chiesa burocratica. Anche padre Savieli, che in qualche modo dovrebbe rappresentare una figura di intellettuale, acquista vero corpo quando ne vediamo emergere il lato in un certo modo più infantile: quella caparbietà pura, incontaminata, che lo porta di puro impeto a rifiutare il compromesso con l’autorità, a ricercare l’integrità assoluta senza deflettere dai propri convincimenti. E il cruccio che porterà con sé nella tomba per non essere in alcun modo riuscito a ricomporre, nel suo piccolo distretto, lo scisma con i “Vecchi Credenti”, scisma vecchio di due secoli con quella parte di popolazione che restava attaccata a una religiosità medievale, al culto delle icone.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Cronache, e dunque il semplice racconto della vita. E del resto è esattamente quanto Leskov fa: ci racconta delle esistenze come esse si svolgono. Ci fa conoscere i protagonisti di queste esistenze. E ce li fa amare. E non potrebbe riuscirci senza lo spirito arguto che vena tutta l’opera, stemperandone anche i frangenti più drammatici.<o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_0NugbTrXI/AAAAAAAAA-U/-TtghlWGw60/s1600/Repin_Leskov_Nikolaj_picture_1988-89years.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_0NugbTrXI/AAAAAAAAA-U/-TtghlWGw60/s320/Repin_Leskov_Nikolaj_picture_1988-89years.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Un umorismo rotondo, saporito, schietto. Talora macabro. Anzi specialmente macabro. La stupidità di Varnava ci si rivela nella assurda sottotrama dello scheletro dell’annegato. A “fini scientifici”, Varnava ottiene dal sindaco e dal medico locale di poter disporre del cadavere di un annegato; ne squaglia la carne nella caldaia per poter avere le ossa pulite in modo da studiarne la struttura scheletrica. Ciò che segue, con la disputa del professore con l’anziana e piissima madre e il manesco diacono è da antologia della risata. Sarebbe tutto molto serio, se il “martire della scienza” avesse un solo grammo di cervello invece di essere un tacchino vestito a festa. Ancora più macabro è il tono da commedia nera sul quale si chiude il romanzo, con quell’ultimo episodio del “diavolo” che terrorizza la cittadinanza di Stargorod. Il diavolo altri non è che un Danilka ridotto alla fame dall’esilio comminatogli, che si traveste con pelli di pecora, corna di vacca e uncini da lavoro per rapinare gli sprovveduti. Nonostante le apparenze, quello che meno di tutti crederà alla pagliacciata è proprio Achilla, che catturerà il “diavolo”, ma per farlo prenderà una tale infreddatura da andare all’altro mondo. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">In mezzo si sprecano gli episodi dove questo spirito emerge, e nella storia di Marfa Plodomasova che vorrebbe far sposare Nikolai con una nana finlandese si arriva tranquillamente alla crudeltà. Non goliardico, dunque, ma sapiente mi viene da dire. C’è una profonda saggezza nell’umorismo leskoviano, nell’<i>understatement</i> con il quale contrappunta di leggerezza la vita dei suoi preti, uomini e donne di Stargorod. Leggerezza a volte cattiva, come è la vita.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Può darsi che non sia un romanzo perfetto <i>I Preti di Stargorod</i>; ma la <i>verve</i> verbale di Leskov, l’impeto sentimentale che mette nelle sue pagine e personaggi, la trama così fitta e colorata delle vite che racconta – tutto questo converge a creare un’opera che supera i suoi difetti e va oltre i suoi pregi, per presentarci qualcosa che è ben di più di uno spaccato di Russia del XIX secolo: uno spaccato di umanità attraverso il tempo.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><br />
</div><div class="MsoNormal" style="text-indent: 7.1pt;"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Ecco, è questo che fa un classico.<o:p></o:p></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-49334204508888675842010-05-19T11:01:00.000-07:002010-05-20T21:26:22.432-07:00Il cane Iodok - Aleksey Meshkov<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><o:smarttagtype name="PersonName" namespaceuri="urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags"></o:smarttagtype><style>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_QnV4qd4RI/AAAAAAAAA2k/R-mD1tEsbIQ/s1600/ilcaneiodok.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_QnV4qd4RI/AAAAAAAAA2k/R-mD1tEsbIQ/s320/ilcaneiodok.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">S’ha un bel girare e rigirare tra le mani il libro una volta terminatane la lettura; il sopracciglio del lettore continuerà a inarcarsi nella perplessità di <i>cosa</i> abbia letto. Eppure, per molti versi, <i>Il Cane Iodok </i>è un esempio di chiarezza.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Con eleganza esso presenta infatti la metafora esplicita della Russia dei nostri giorni, della sua società permeata di rassegnazione, rinuncia, vigliaccheria, complicità con un potere che estende inavvertito i suoi tentacoli mettendo in scena la finzione della democrazia e la realtà di un’autocrazia tanto morbida nella sua ufficialità quanto brutale nell’autodifesa e nell’offesa. Se la metafora è esplicita e dichiarata, gli strumenti narrativi e l’architettura descrittiva del breve romanzo si sottraggono a ogni facile (e anche difficile) catalogazione e analisi.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Io, Iodok, l’uomo-cane, sono l’apostata, il rinnegato dal branco.</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> Il protagonista e io narrante ripete di continuo questo mantra che ne suggella l’identità e rappresenta il programma estetico del romanzo. Chi sia stato Iodok non ci è dato saperlo fino in fondo, come del resto è per molto altro in questo romanzo.. Ci viene detto che ha avuto un’infanzia e prima giovinezza siberiane, non infelici. Tutto ciò che sappiamo è che per salvarsi dalla caccia spietata degli inviati dello <i>Zoo</i> - il misterioso ente/potere che riassume in sé la deriva autoritaria, il potere criminale e la finzione della democrazia – egli entra nella pelle di un cane. Letteralmente. Trovato morente al bordo di una strada il cane Zenta, dopo aver assistito impotente alla morte dell’animale lo scuoierà e ne indosserà la pelliccia. Siamo nel pieno – e più bizzarro – territorio del surreale, che tra le differenze anche notevoli, pone un punto di contatto chiaro con il <i>Cuore di cane </i>di Bulgakov. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il cane Iodok è l’apostata al punto da spingere la sua apostasia al piano biologico: all’interno della folta pelliccia del cane lupo l’uomo muterà, acquisendo i sensi del cane, molti dei suoi organi, conservando mutati molti dei propri. L’uomo-cane è tale in senso proprio, assume le abitudini, le posture del suo ospite. Si nutre con crescente abilità delle piccole prede che una natura da tempo addomesticata dall’uomo riesce ancora a fornire. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Sarà tutto inutile, e la paura indotta dalla pressione di una caccia che egli giustamente sente condotta con spietatezza lo indurrà a un passo ulteriore sulla via dell’identificazione con la natura canina: trovarsi un padrone. Si rifugia, Iodok, nel cuore stesso del sistema dello <i>Zoo</i>: la clinica veterinaria del professor Lyudov, sede di nebulosi e mai chiariti esperimenti, forse di condizionamento, forse di wellsiani esperimenti chirurgici. Alla lunga, però, si rivelerà inutile tutto: in un gioco in cui i confini tra la manipolazione della realtà (e del lettore stesso) e la sua surreale rappresentazione, l’intera fuga di Iodok potrebbe essere stato null’altro che un esercizio di quel potere al quale cercava di sfuggire. Il potere dello <i>Zoo</i>, radunate false prove contro l’uomo-cane lo giustizierà sommariamente. Sono esseri che appaiono a Iodok con fattezze di cane e non umane coloro che lo uccideranno. Forse è il riconoscimento finale della bestialità di un potere che, come Iodok aveva asserito, ha sostituito <st1:personname productid="la Legge" w:st="on">la Legge</st1:personname>, ammantandosi del compito di garantirne l’esecuzione, così svuotandola dall’interno. O forse è il riconoscimento che nessuna fuga – come infatti succede – neppure quella dell’apostasia individuale, della fuoriuscita e del rinnegamento del branco (umano) è possibile, perché il Potere riassume in sé tutto e il contrario di tutto e la lotta per la propria libertà guadagna solo la morte perché non esistono spazi dove a libertà è possibile.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Benché il filtro surreale della stranezza impregni ogni frase del romanzo, e la stessa analisi politica e sociale della realtà sia resa attraverso questa lente deformante (e che però accentua l’affilatezza dell’analisi stessa), la scrittura evocativa dell’autore, sinuosa e sensuale come è, rende la lettura appassionante. Iodok è un narratore d’eccezione, superbo nelle descrizioni urbane e paesaggistiche, nel far vivere le proprie sensazioni, in uno sfoggio di “realismo canino” che accentua l’effetto di straordinario disorientamento dato da tutto l’impianto surreale del romanzo. E’ ingenuo nella sua analisi psicologica di alcuni dei personaggi, in ossequio a quel “realismo canino” viene da dire. Ma soprattutto è perfetto nel trasmettere per intero l’ansia paranoica della sua paura, l’intensità e la crudeltà della caccia alla quale lo <i>Zoo </i>lo sottopone. La paranoia, soprattutto: al punto che a volte si è tentati di pensare che ogni cosa non sia che il delirio di un folle.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Quella di Iodok non è una rivolta, è una dichiarazione filosofica ed etica di estraneità. Ma come lo <i>Zoo</i> non può tollerare – e schiaccia – le deboli forme di resistenza organizzata, così esso ancor meno può lasciar sussistere la radicale negazione incarnata da Iodok. Ciò che all’apparenza manca nel romanzo è appunto l’esistenza, la “chiamata alle armi” di una vera società resistenziale. Meshkov vi accenna solo di sfuggita. La scelta individuale e individualista di Iodok, fino al solipsismo, sembra una strada elitaria e folle, condannata di per sé al fallimento; ma uguale fallimento è destinato all’esistenza dei branchi di cani randagi sui quali si abbatte il pugno dello <i>Zoo </i>che li assorbirà entro il proprio ordine. <o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">In realtà la scelta di Iodok è davvero la forma più pericolosa di resistenza al potere, rappresentando la forma finale di autonomia di pensiero, fino alla rinuncia di ogni vestigia del proprio passato. L’inevitabilità dello sconfitta dell’uomo-cane, troppo solo per poter sottrarsi alla pervasività del Potere conferisce a tutta la storia una luce di cupezza e disperazione: <i>Io, Iodok, il nemico dell’ordine zoologico, dovevo morire nel silenzio,condannato da accuse false e infamanti. </i>All’interno della pelle dell’animale simbolo della fedeltà all’uomo, Iodok morirà da uomo libero e salverà la propria anima, ma morirà. Poche pagine prima Meshkov aveva escluso con nettezza anche la possibilità di evasione nell’amore. Iodok concretizza il proprio amore per Vera, la segretaria del suo padrone, il professor Lyudov, ma in nessun momento della loro notte d’amore perde la lucidità e con essa la consapevolezza che il suo destino è segnato: la solitudine può essere interrotta episodicamente ma non elusa.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Le forme esteriori del thriller si adattano come un guanto alla materia dell’opera, agevolando il lettore nel cogliere ogni dettaglio del crescendo di terrore e paranoia che accompagna la parabola del cane Iodok, e permettendo di respirarne, di viverne il quadro d’insieme nel realizzarsi della minaccia dello <i>Zoo</i>. Né distopia né antiutopia, <i>Il cane Iodok</i> è una lettura esatta della realtà effettuata con gli strumenti del suo sovvertimento e della ricomposizione secondo coordinate che nella loro estraneità e bizzarria finiscono per apparirci ancor più precise nel cogliere quella stessa realtà.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Nel risvolto di copertina l’autore è detto di padre russo e madre italiana, e da alcuni anni trasferitosi nel nostro paese. In rete tutto quel che si trova in più è che il suo dovrebbe essere un <i>nom de plume</i>. </span></div><meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><o:smarttagtype name="PersonName" namespaceuri="urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags"></o:smarttagtype><style>
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<div class="MsoNormal"> <span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7263171844910892114.post-42593690248946516712010-05-19T10:57:00.000-07:002010-05-19T10:57:39.981-07:00Cuori d'altopiano - Alberto Gherardi<meta content="text/html; charset=utf-8" http-equiv="Content-Type"></meta><meta content="Word.Document" name="ProgId"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Generator"></meta><meta content="Microsoft Word 11" name="Originator"></meta><link href="file:///C:%5CDOCUME%7E1%5Cvincenzo%5CIMPOST%7E1%5CTemp%5Cmsohtml1%5C01%5Cclip_filelist.xml" rel="File-List"></link><o:smarttagtype name="PersonName" namespaceuri="urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags"></o:smarttagtype><style>
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<div class="MsoNormal"><span style="font-family: Verdana; font-size: 12pt;">Le considerazioni che seguono le ho scritte ormai tempo fa, ma desidero iniziare questo blog parlando del libro di un amico.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_QmVSI5wRI/AAAAAAAAA2U/5WAWmPqR1Jo/s1600/alberto+gheradi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_QmVSI5wRI/AAAAAAAAA2U/5WAWmPqR1Jo/s320/alberto+gheradi.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Le valli e i luoghi bergamaschi, per me nato e cresciuto a Roma, e di Roma intriso, non si distinguono poi molto dai paesaggi lunari: rappresentano l'alieno. E per questo ero curioso: perché se lo scrittore è un narratore abile, quella alienità sa rapportarla alla comune umanità, offrendomi la chiave per osservare il suo mondo e comprenderlo. E infatti. Le valli si affacciano non solo - e non tanto - attraverso sé stesse, le descrizioni dei propri paesaggi, sentieri, montagne, scorci, tramonti; sono più i personaggi, i loro silenzi e la scontrosità di quasi tutti, anche quelli più caldi, quelli più solari. E' questa diffusa sobrietà, rudezza, a suggerire con discrezione senza l'invadenza dell'eccesso. Insomma, obliquamente, sei pienamente riuscito a presentarmi le tue valli. E a lasciar trasparire una spigolosità tutt'altro che priva di rientranze dove la sensibilità fa breccia.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Parole che si perdono</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> (ascoltando: Rachmaninoff: Liturgia di San Giovanni Crisostomo, per coro; op.31 - prima parte)<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Sin dal titolo c'è un avvertimento: le parole sono le protagoniste del racconto. Che in un'opera narrativa appare e pare banale; ma non è così: qui le parole sono ben più importanti dei personaggi, che pur nella loro relativa prevedibilità e schematicità hanno un buon vigore, una buona aderenza alla realtà; ma soprattutto la raggiungono via via, mostrandosi e scoprendosi per strada agli occhi del lettore. Parole che in realtà si ritrovano, più che perdersi; parole che costruiscono, non a caso, una storia che parte in sordina, personaggi che di frase in frase - di parola in parola - assumono una loro corporeità, per quanto più allusiva che materiale, che si lascia dietro l'impressione iniziale di scolasticità da manuale. Parole all'inizio stipate, che di aggettivo in aggettivo acquistano scioltezza e confidenza con la storia; all'inizio mostrano una solitudine umana che quegli aggettivi riempiono in eccesso, cui danno un senso di prevedibilità attraverso il compiacimento per il vocabolo ricercato, per il termine che colpisca programmaticamente la fantasia del lettore: la noia esistenziale, il disagio psicologico, il senso di vuoto familiare hanno sapore accademico. Ma è solo il principio: il racconto si distende, muta, sfrutta lo spunto di altre parole - i versi ingenui di una poesia adolescenziale - per assumere una nuova veste. Le parole si coagulano, ora: il loro permanente fiorire si addensa sull'amore e sulla vita. Alla fine, è un racconto di amore e di vita; di amore per la vita: e i personaggi si ritrovano strumenti di queste parole. Spoglio di quel compiacimento ricercato che dapprima aveva, approda a una secchezza di sentimenti e impressioni che non rinuncia alle emozioni. Perché l'abbraccio finale riesce a emozionare, in senso compiuto e non corrivamente consolatorio o romantico; e riaccende senza cedimenti alla facilità quella speranza che appariva - banalmente - assente nelle prime pagine. Speranza appunto non facile: speranza che vuol dire lotta: voglia di dare battaglia, a costo di restare feriti. E' il racconto più semplice, ma ha una compiuta dignità.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Nuvole senza cielo</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> (ascoltando: Rachmaninoff: Liturgia di San Giovanni Crisostomo, per coro; op.31 - prima parte)<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Amore, vita, speranza non facile a dispetto delle premesse: di nuovo; lo scenario, questa volta decisamente più valligiano, replica in prospettiva storica quello urbano e moderno. E' dalle sofferenze che nasce questa speranza venata di tanta asprezza, di una scabrosità che necessita di una volontà di ferro per essere raggiunta. Il romanticismo della storia concede nullo spazio alle romanticherie, concentrandosi sul bozzetto di due ragazzi che si incontrano e vengono sballottati dagli avvenimenti, storici e contingenti: epocali quelli, più spiccioli ma ugualmente decisivi - e cattivi - questi ultimi. L'adolescenza non è mai una passeggiata, ma alle volte esagera! E quando esagera, o spezza o tempra. Cosa e come prevalga dipende da tali e tante variabili che necessiterebbero di un Guerra e Pace per essere analizzate con agio. Ricaviamo e ci ricostruiamo i caratteri chiusi, umili, induriti e spietati (per sé stessi e per la loro vita) dei due giovani protagonisti dalle loro azioni; dal loro decidere, col cinismo di chi è cresciuto in fretta, in base alle circostanze avare che vivono. Ma proprio dalla loro chiusura, umiltà, durezza acquisita e spietatezza nascono - ci pare - quella volontà e quella pazienza che permettono il precipitare finale della speranza. Una speranza, nuovamente, che ha ben poco di romantico e ancor meno di consolatorio; e tutto invece di una solidità che ha origine dalla robustezza di ciò che è semplice e al tempo stesso radicato in una formidabile identità personale. Il granito è semplice pietra, ma per resistere al colpo di una mazza di ferro è più attrezzato di un elaborato e prezioso vetro di Murano. La vita, pare che tu dica, è così semplice una volta che si abbia la forza e la pazienza di lasciare che essa venga a capo di tutte le sue difficoltà, asprezze, rovesci. Averne la forza, però! E ancor più la pazienza.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Stella</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> <i>di</i> <i>Selvino</i> (ascoltando: Bach: Oratorio di Natale op.BWV 248)<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Variazione sul tema, digressione, scherzo tra il beffardo e l'agrodolce. Un piccolo bastardello (forse si capisce troppo da subito, la perfezione puzza sempre: ma è un difetto veniale; lui però resta antipatico da morire ;-)) anticipato e punito, ma che sa non prendersela, e in tal modo riscatta un po' il suo irritante atteggiarsi. Un'altra adolescente (all'ombra delle fanciulle in fiore, eh?), ma quanto più sbocciata in gloria, luminosa e raggiante; lontana da problematicità (ma di problemi agli altri una Sara dovrebbe essere bravina a darne, in compenso ;-)). Una storia, anche, di montagna, questa volta: genuinamente di montagna. Compresa la diffidenza istintiva per l'estraneo, l'urbanizzato; e compreso il rovesciamento dei ruoli che si vorrebbero prefissati, con lo smagato cittadino che in realtà resta con un palmo di naso; e usato. Non per caso è anche il racconto che, pur sbozzati appena, presenta più personaggi, con poche pennellate decise, anche, portati in buon rilievo. L'emergere dell'ambiente e dei luoghi richiede personaggi costruiti con nettezza, precisione, e concisione; le sfumature devono cedere il passo a contorni più esatti: le parole perdono definitivamente di importanza per sé e ne acquistano per essi, servizievoli fornendo corpo agli abitanti dei luoghi e ai luoghi stessi. E' una storia di quarzi, indubbiamente: cristalli duri, come i luoghi e i loro abitanti. Ma anche iridescenti, come il risvegliarsi alla vita di una ragazzina impertinente e, si suppone, ben presto impenitente. E' una storia dove la natura è sul punto di prendere il sopravvento, e dove alla fine vien fuori come una protagonista muta ma ben presente, che osserva i personaggi e si lascia osservare dal lettore.<o:p></o:p></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_QmVSI5wRI/AAAAAAAAA2U/5WAWmPqR1Jo/s1600/alberto+gheradi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br />
</a><a href="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_Qmezw6S0I/AAAAAAAAA2c/PfKKV5hbrOI/s1600/cuori.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/_iSmK7dfnS6c/S_Qmezw6S0I/AAAAAAAAA2c/PfKKV5hbrOI/s320/cuori.jpg" /></a></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il rovescio delle</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> cose (ascoltando: Bach: Oratorio di Natale op.BWV 248)<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Okay, qui mi prendi sui sentimenti. Vent'anni fa avrei riconosciuto solo due tizi come più competenti di me in materia di tennis: Clerici e Tommasi; poi il tennis dei racchettoni, dei supermuscolari e di strane tv a pagamento mi hanno disamorato: rivoglio anche io <st1:personname productid="la Jack Kramer" w:st="on">la Jack Kramer</st1:personname> Pro Staff. Ma il tennis mi è rimasto nel cervello. E il racconto me l'ha riportato in circolo; è ovvio che non è SUL tennis, ma è tuttavia CON il tennis, e i meccanismi della partita con Robbiati sono quei meccanismi che mi hanno fatto amare il tennis. Mi sembri abbastanza ferrato sulla memoria, quindi penso che tu capisca quello che puoi avermi rimesso in circolo come dicevo :-). Qui il lavoro si sposta ancora di più sui personaggi; o meglio sul personaggio, perché tutte le risorse si addensano sul nostro tennista di ritorno. Un ritratto che stavolta non è netto, ma neppure sfumato: è frastagliato. Contorto. Aggrovigliato. Mica è uno facile Daniel il tennista di ritorno. Non si fa grandi sconti, ma certo si fa parecchi problemi. Eppure non c'è nulla, in lui, dell'intellettuale pippaiolo. Il fatto è che intellettuale lo è; senza aggiunte. Nel senso di chi non abdica al proprio intelletto, di chi non sceglie mai la via più agevole, soprattutto per arrivare a guardarsi dentro e a soddisfarsi; ma, almeno alla lunga, non fa di questo un ripiegarsi sterile sulle proprie lamentazioni. Ci vuole tempo perché l'intelligenza arrivi a elaborare il senso profondo e consapevole della speranza, ma ci arriva immancabilmente: e senza non ci si arriva. E ci vogliono anni e una certa età per arrivarci. Scolorire di cicatrici, e comprensione di cosa le abbia provocate. La volontà di rischiare di procurarsene di nuove. La speranza, insomma, ancora una volta. Ma, mi ripeto, senza atteggiamenti consolatorii: va strappata all'esistenza, non cresce sugli alberi, non si ottiene per tocco di bacchetta magica. Con Daniel, per uscire dalla sfera dell'allusivo e arrivare a conoscerlo appieno aspetto il romanzo. E poi Robbiati: perché è bello il pensiero di quell'acqua gelata che sferza a tradimento quello stronzo. E gli altri personaggi a corona. Sinceramente, uno come Mat mi sta istintivamente sull'anima; ma poi mi sovviene che un amico Mat-to ce l'ho anche io; matto in modo diverso, ma sempre matto; e forse tutti - tutti noi che speriamo di essere sani di mente - un amico matto ce lo abbiamo. Ce lo dobbiamo avere per mantenere il contatto con uno spirito più libero del nostro. E gli vogliamo bene perché alla fine sono molto più sani loro di noi. Resta Paola, enigmatica e informe rispetto agli altri personaggi. Ma è giusto: stavolta è una storia di uomini, e anche le donne importanti non sono che accessori.<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><br />
</div><div class="MsoNormal"><i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Vecchio</span></i><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;"> <i>al</i> <i>monte</i> (ascoltando: Vivaldi: L'Estro Armonico op.3)<o:p></o:p></span></div><div class="MsoNormal"><span style="font-family: "Lucida Bright"; font-size: 14pt;">Il racconto più bello. Non per semplice apprezzamento estetico, o per sensazioni o impressioni; né per una simpatia che possa ispirare il protagonista, anzi. Intanto perché Cesco è il personaggio più riuscito che presenti; quello meglio elaborato e strutturato, analizzato con una precisione che va oltre i suggerimenti che dissemini sulla sua personalità: per l'aderenza completa dell'uomo al suo ambiente; e per quelle valli e montagne che qui vengono in rilievo materiale come non prima: attraverso gli occhi, la memoria e il pensiero del loro osservatore. Evocate negli altri racconti, qui ci sono, si materializzano nel loro splendore: un po' come esserci sopra e dentro dopo averle ammirate in lontananza. Soprattutto, però, in questo racconto c'è quella qualità della buona letteratura che riesce a farti scindere la lettura con la testa da quella con il cuore, per poi amalgamarle. Cesco non è esattamente il modello di essere umano che ami alla follia :-). Questo al di là del fatto che io concordi pienamente con le considerazioni introduttive che fai al racconto; non parlo di Cesco come modello di vecchio, e tanto meno dell'importanza cardinale, che stiamo perdendo, della vecchiezza: non avrei sopportato neppure il Cesco ventenne. Ma il racconto ha saputo scavalcare la ripulsa istintiva di cuore; ha saputo (ri)mettere in moto il cervello: fino a farlo innamorare della storia e del personaggio. E attraverso il personaggio forse anche dell'uomo. Se Cesco ha un modello reale, forse me lo avrebbe fatto quanto meno digerire. Attraverso quali meccanismi la mia lettura istintiva abbia ceduto il passo è presto detto: sotto la scorza e dietro la maschera di Cesco ci sono un'intelligenza intensa e un'umanità calorosa, che in questo caso solo la descrizione letteraria può raggiungere e disseppellire e riportare alla luce: nella vita reale e quotidiana sarebbe molto più difficile, e anche improbabile. E c'è un'ironia, nel vecchio, che appartiene agli animi elevati. La semplicità è apparenza ingannevole, spesso; e solo in questo senso si potrebbe definire semplice il vecchio Cesco. E, certo, se abbraccerei con emozione il vecchio scalatore del racconto, è più probabile che vorrei sbattere la testa al muro a un Cesco reale. Questo fa, un buon racconto: fa riflettere. Ci fa elaborare i nostri sentimenti, sviscerare gli schemi di pensiero, rapportare la sua finzione narrativa con la nostra vita. E infine ci diverte.<o:p></o:p></span></div>Vincenzo Olivahttp://www.blogger.com/profile/16524174130880273642noreply@blogger.com0